Regia di Sergej M. Ejzenstejn vedi scheda film
“La corazzata Potemkin” è un film rivoluzionario su cui grava la stanchezza, e il cui tono è quello aspro ed irruente della rabbia e della polemica. Per certi versi, un film “barbaro”, privo di grazia, che volutamente rinuncia all’intensità e all’armonia artificiali del dramma e della retorica, e si mantiene, per questo, stilisticamente puro. La scena iniziale rappresenta il lento ed impacciato risveglio dalla pesantezza dell’oppressione. Le prime due parti sono dominate dal gusto metallico e salato della vita di bordo, tra il potere degli ufficiali, gonfi di cinismo, ma privi di autorevolezza, e i marinai ribelli, carichi di rancore, ma privi della necessaria spinta ideale. La rivolta, quando esplode, è energia che si frammenta in concitazione, che non conosce mete utopiche o mitici eroi, ma soltanto la crudele cecità del caso. Non vi sono, in questa storia, personaggi da romanzo: lo stesso marinaio Vakulinchuk è un martire disadorno, l’omaggio alla sua salma è una cerimonia priva di decoro, in cui la folla è un mostruoso serpentone umano che, d’un tratto, ingoia anche l’orrore di un linciaggio. In questo film l’umanità è carne brulicante, affaticata, affamata, massacrata, calpestata, urlante, implorante. È il cinema che vuole allontanarsi definitivamente dal teatro, dando vita a uno spettacolo senza protagonisti, né comprimari, in cui non c’è sfondo né proscenio, e manca totalmente il centro dell’azione. Il tumulto è l’unico vero leitmotiv del film, che attraversa tutte le sue cinque parti: un caos variamente intrecciato che coinvolge uomini e vermi, gente del popolo e cosacchi, marinai e macchine, nei vari momenti di una battaglia rozza e senza regole, il cui fine ultimo è un traguardo che, come per incanto, balena improvvisamente all’orizzonte. Un capolavoro unico, impreziosito proprio dalla totale assenza di rifiniture estetiche.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta