Regia di Sergej M. Ejzenstejn vedi scheda film
Il nome della Corazzata Potemkin, storpiato, col tempo fino a divenire incrociatore Kotemkin, divide irrimediabilmente gli appassionati di cinema in due antitetiche scuole di pensiero. La prima comprende i cinefili incalliti, puristi di un cinema che non esiste più, in cui l’assenza del sonoro non è un difetto, bensì un vanto; quelli insomma che al nome del Potemkin si inchinano, salutando la genialità del regista Ejzenstein ed entrando in fibrillazione per la genialità del montaggio per opposizione. La seconda scuola di pensiero annovera, invece, quelli che legano il nome della Corazzata più famosa della storia del cinema al surrogato propostoci dal ragionier Ugo Fantozzi; qui “Potemkin” significa necessariamente cinema pesante, mattone indigesto e solo a pronunciarne il nome (rievocando le forzate maratone cinefile del malcapitato Fantozzi, mentre in TV gioca l’Italia di Zoff) si ride inevitabilmente.
Il film di Ejzenstein, in realtà è una commistione delle due visioni esposte in precedenza; è una pietra miliare della settima arte per tecnica e intuizione, per l’audacia di alcune scelte, per la clamorosa ed insistita metafora politica insita nella sceneggiatura, per il movimento aggiuntivo che Ejzenstein sa donare alla storia attraverso il rapporto tra scene in contrasto, come racconta la sua poetica di autore. Ma “La Corazzata Potemkin” è anche un film sorpassato, vetusto, talvolta noioso. Se si esclude la scena della scalinata (in pratica tutta la quarta sezione del film), la pellicola non è esattamente digeribile nemmeno, checché se ne dica, da un cinefilo con lo stomaco coibentato di ferro.
Ammirare il Potemkin in azione è dunque, sempre e comunque, una esperienza senza pari, per i motivi di cui sopra e per molti altri legati all’indole di ogni singolo spettatore, diviso a metà tra lo sguardo che segue la carrozzina sulla scalinata di Odessa ed il 21° gol dell’Italia. Di Zoff. Di testa!
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