Regia di Takashi Miike vedi scheda film
Audition è un film giapponese del 1999; diretto da Takashi Miike e tratto dall'omonimo romanzo di Ryo Murakami.
Sinossi: Shigeharu (Ryo Ishibashi) dopo aver perso la moglie a causa di un male incurabile si è chiuso molto in se stesso soffrendo in silenzio; circa sette anni dopo la disgrazia incentivato dal figlio ed aiutato dal suo caro amico Yasuhisa, noto produttore cinematografico, organizza una sorta di audizione con l'obiettivo di trovare una stella emergente del cinema ma in realtà è solo un pretesto per conoscere nuove donne.
L'audizione ha dato i suoi frutti e l'uomo intraprende una relazione con la timida Asami, ragazza dal passato misterioso ed oscuro...
Audition è l'opera che consacra a status di autore mondiale il genio assoluto di Takashi Miike; l'eclettico regista di Yao (cittadina che si trova nella prefettura di Osaka) prima ancora di Auditon aveva realizzato un numero spaventoso di pellicole, tirando fuori dal cilindro una serie di perle assolute costellate da elementi innovativi ed audaci (Shinjuku Triad Society, Fudoh:The New Generation o Rainy Dog) che ritroviamo, se pur con innovazioni notevoli, in questo film.
Quando si parla di Audition tuttavia molti si soffermano sulla violenza estrema e scioccante dell'opera; celebre lo svenimento di uno spettatore durante la proiezione del film all'Irish Film Institute a Dublino oppure storica l'azione di una donna che al termine dell'opera al Rotterdam Film Festival grida sdegnata in faccia al regista: «lei è malvaggio».
Certo è innegabile come molte situazioni presentino un livello di efferatezza difficile da digerire ma è assolutamente sbagliato ed ingiusto ricordare il film esclusivamente per la violenza che tra l'alto "compare" sullo schermo solo dopo i primi sessanta minuti.
Fin dalle prime immagine Miike propone un cambio di rotta evidente rispetto a molti suoi film precedenti (yakuza-movie); Audition si apre -come di routine nel cinema maikiano- in medias res però il regista non si focalizza su risse o scontri fra gangster bensì ci mostra l'interno di un modesto ospedale dove un uomo (Shigeharu) sta assistendo inerme alla morte della moglie.
Estremamente significativa l'inquadratura a piombo che riprende nella sua totalità una piccola stanza dell'ospedale e vediamo il protagonista piangere la moglie appena scomparsa.
Passano i minuti ed il film sembrerebbe incanalarsi su lidi estranei alla poetica di Miike.
Audition a tal proposito espone un canovaccio tipico dello shoshingeki (drammi sulla piccola borghesia), genere classico del cinema giapponese esploso nei primi anni trenta i cui autori più autorevoli sono l'allora veterano Yasujiro Shimazu oppure brillanti giovani come Heinosuke Gosho e l'immancabile Yasujiro Ozu.
Guardando il film con attenzione notiamo effettivamente come Takashi Miike ricorre ad alcune soluzioni stilistiche tipiche di questi autori; durante la prima ora la macchina da presa è spesso e volentieri fissa ad altezza tatami, tipico di Ozu, tuttavia non dimentichiamoci chi sia il regista ed infatti la posizione della camera prefigge delle variazioni significative rispetto ai maestri classici.
Miike non si focalizza quasi mai sul protagonista (al contario di Ozu) ed in molte conversazioni viene ripreso di spalle inoltre troviamo un uso accattivante della profondità di campo in ambienti interni e queste scelte stilistiche servono al regista ad evidenziare uno stato di solitudine e sconforto del suo personaggio principale.
Continuando su Shigeharu, andiamo subito a sviscerare la tematica portante di Auditon ossia la ricerca dell'amore; l'uomo da quando ha perso sua moglie conduce una vita abulica, non sorride più e solamente l'incontro con la misteriosa Asami riaccende in lui la voglie di vivere e di amare.
Asami rappresenta la cura ad un'esistenza infelice ed il soggetto non vuole lasciarsela sfuggire ed il destino vuole che pure Asami la pensì così; sfortunatamente per lui, Asami attribuisce al sentimento amoroso un significato alquanto particolare e la ricerca ossessiva dell'amore si trasforma presto in un incubo di dolore e torture.
«Asami non è da intendere come malata, ma come una persona che vuole dimostrare il suo amore nel modo più puro e se il modo più puro per manifestarlo può far fuggire l'altro allora non resta che tagliargli le gambe per impedirglielo» Takashi Miike
L'amore in Audition è dunque un sentimento totalizzante, completo ma appunto devastante; un concetto simile Miike lo riproporrà in un altro suo capolavoro: Ichi The Killer.
Sempre sul versante tematico l'autore si sofferma su aspetti assai rilevanti; il regista critica ad esempio alcune pratiche tipiche dello show business cinematografico, dai produttori fin troppo autorevoli (alcune domande delle audizioni sono davvero esagerate), ad attrici disposte a tutto pur di ottenere la parte, fino ad arrivare alle difficoltà nel realizzare un lungometraggio: «Fare film è come una gara di sopravvivenza» così esclama Yasuhisa (Jun Kunimura).
In aggiunta osservando con attenzione anche alcuni flashback, il regista si addentra su questioni prettamente sociali scagliandosi fugacemente contro i servizi sociali giapponesi e mi riferisco all'affido di Asami a parenti violenti (quindi zero controlli).
Miike non è nuovo ad esporre lati bui del suo paese (pensiamo a Shangri-La).
Infine da non sottovalutare la presenza di una sessualità perversa (qui rappresentata dal maestro di danza di Asami), topos imprescindibile nel cinema di Miike.
In precedenza si parlava di shoshingeki, genere classico inedito a Miike e se pur concentrandosi -almeno inizialmente- sulla quotidianità di un uomo borghese afflitto da un dramma personale, il regista con estrema saggezza ed intelligenza minuto dopo minuto accompagna lo spettatore in un mondo strano anticipato per la prima volta dall'inserto terrificante in cui Asami giace sul pavimento di una stanza spoglia e lercia aspettando la chiamata del suo nuovo compagno e quando il telefono squilla un ghigno malefico si stampa sul suo viso inoltre dietro di lei si trova un sacco imbottito che improvvisamente si dimena.
Interessantissimi gli ultimi trenta minuti; Miike abbandona definitivamente la narrazione lineare optando per un trip onirico e surreale dove non capiamo più se ciò che vediamo sia vero, sia un evento passato oppure un'allucinazione.
Proprio nel finale sopraggiunge la tanto decantata violenza oltragiosa; una violenza dolorosa, quasi necessaria almeno secondo la protagonista e soprattutto una violenza che si manifesta come conseguenza di drammi passati nefasti.
«Non uso la violenza soltanto per scioccare, dev'essere reaòistica, e organica rispetto agli eventi» Takashi Miike.
Concludo questa breve analisi ragionando un attimo sulla regia.
Ad inizio scritto si accennava ad uno stile classico ma con delle variazioni tuttavia l'opera in vari frangenti proprone molto di più che semplici cambiamenti e non mi riferisco solo al già citato finale.
Nel corso della pellicola ci sono varie scene che presentano una regia ricercata:
-) Impossibile non menzionare la lunga sequenza delle audizioni con il regista che utilizza un montaggio serratissimo presentandoci velocemente svariate candidate assai grottesce.
-) Pregevole anche il segmento successivo alla scomparsa di Asami; Shigeharu sensibilmente agitato si reca sul luogo di lavoro del suo amico Yasuhisa per chiedergli di aiutarlo a rintracciare l'amata; la scena è scandita dalla macchina da presa a mano che segue il protagonista con un movimento laterale ed una volta giunto all'ufficio i vari scambi di battutta fra i due sono scanditi/rappresentati o da stacchi improvvisi di montaggio oppure da panoramiche a schiaffi ed è chiaro come queste scelte indicano appunto l'agitazione di Shigeharu.
Infine non mancheranno dutch angle o soggettive affascinanti e coinvolgenti (quando Asami si introduce nella casa del suo amato).
Capolavorone da vedere e rivedere.
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