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Se sei vivo spara (Oro Hondo)

Regia di Giulio Questi vedi scheda film

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La recensione su Se sei vivo spara (Oro Hondo)

di scapigliato
8 stelle

Quando dico che col western e l’horror si può raccontare tutto ciò che si vuole, mi riferisco non solo ai contenuti, ma anche ai vari stili e registri narrativi. Tant’è che in questo piccolo gioiellino cult, il regista Questi (nome che poi non ha detto più nulla al mondo-cinema), ha raccontato una partecipata storia sull’avidità del denaro e sull’ipocrisia del buonismo imperante, adottando sia le efferatezze splatter sia il gusto dell’orrido e del macabro, che siamo soliti trovare nei film horror.
La storia è anche molto semplice, ma sul finale si articola così tanto da diventare difficile da seguire. Ma fino ad allora il film è una vera e propria spirale di personaggi violenti e di violenza non proprio gratuita. A cominciare dal linciaggio della banda di Oaks (un fantastico e inimitabile Piero Lulli), in cui quest’ultimo viene riempito da pallottole d’oro dal Forestiero (Tomas Milian), che poco prima aveva ucciso, evidentemente senza controllarne bene il cadavere! Scoperto l’oro nel corpo del grande Lulli, tutti si avventano per strapparglielo, accelerandone la morte. Questa scena, che è, con quei bastardi famelici intenti a sprofondare le loro mani nella carne di un moribondo, una vera critica all’avidità del denaro, è anche quella scena che di diritto ci scaraventa nell’atmosfera folle ed estrema di tutto il film. Infatti vedremo la banda di pseudo-omosessuali che sevizia l’affascinante Evan (un Leo Di Caprio ante-litteram, ovvero Ray Lovelock); la moglie pazza e segregata di Hagerman; e per finire l’incendio in cui l’avido e puritano Mr. Hagerman muore sotto una colata di oro maledetto (come recita il titolo in Spagnolo).
Sono tutti cattivi in questo film, dall’immenso Piero Lulli/Oaks, agli avidi e ciechi Hagerman e Templer, alla femme fatale di quest’ultimo che lo sprona a lasciar morire il figlio per denaro, fino al Mr. Sorrow, il signorotto locale con brame di onnipotenza (è sua la banda di maschioni che si diverte col giovane Evan). Le vittime? L’innocenza e la giustizia, rintracciabili proprio nel personaggio di Evan: giovane, arrabbiato, inebetito e “scollegato”. Queste sue caratteristiche lo rendono simile a tutti quelli che vedono accadere un’esagerazione di vigliaccate intorno a loro, e non si riconoscono più nel mondo in cui vivono.
La regia è la tipica da spaghetti-western: secca, veloce, essenziale, a volte puramente semplicistica e banale; e questo ci aiuta a convincerci che la cattiva direzione cinematografica di cui erano accusati questi sottoprodotti di serie B non era altro che un preciso intento artistico per rompere con l’autorialità e l’intellettualismo del cinema non solo italiano. Ma era anche il tentativo di rifondare un’estetica e una poetica disturbante, urtante, che mettesse a disagio e provocasse reazioni di sdegno nello spettatore. Questa estetica e questa poetica, oggi rivalutate, e che ritroviamo anche nel poliziesco e nell’horror all’italiana, saranno poi quelle che faranno la felicità dei grandi registi del New Horror americano (Romero, Carpenter, Craven, Cronemberg). Non dimentichiamo che i cosiddetti registi “cattivi” di oggi, come Tarantino, Rodriguez, Scorsese e direi anche il Gibson di “The Passion”, devono molto (e qualcuno di loro lo ammette pure) a questa scuola italiana di cinema di genere in cui le masturbazioni mentali degli intellettualoni autoriali non trovano spazio, e allo stesso tempo, il tentativo sociale e di costume di andare controcorrente, disturbando e urtando l’animo degli spettatori, rimane un’eredità fondamentale per risvegliare anche oggi quell’uomo moderno ormai in preda alle sue inquietudini esistenziali.

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