Regia di Tim Burton vedi scheda film
Ennesima favola di Burton che però cambia tiro rispetto alla filmografia precedente. Innanzitutto abbandona per grandi tratti le ambientazioni ed i colori dark che hanno sempre caratterizzato le sue opere e poi affronta il tema della diversità (altro trade mark dell’autore) in maniera anomala rispetto al passato. Burton infatti tratteggia la vita di un sognatore vista attraverso gli occhi di chi, dopo di lui, ha vissuto le sue stesse avventure attraverso gli innumerevoli racconti. Padre dalla vita avventurosa e figlio cresciuto ad ascoltare le fiabe (?) in cui il genitore si è imbattuto. In età adulta il figlio pretende di sapere qual’è il vero passato del padre. Alla fine lo conoscerà e condividendo la sua scelta, lo aiuterà nell’ultimo grande sogno, quello della morte.
Dal romanzo di Daniel Wallace, Tim Burton ricava un film a metà strada tra onirismo e realtà in cui il protagonista Edward Bloom (interpretato nei flashback di giovinezza da Ewan McGregor) costruisce un modus vivendi improntato sulla ricerca della felicità attraverso l’appiglio della fiaba.
Il film è un piccolo gioiellino, coacervo ineguagliabile di miti e luoghi fiabeschi (è qui che Burton si scatena nelle ambientazioni e nei costumi), mistura tra le figure felliniane e il Forrest Gump di Zemeckis, in cui la musica di Danny Elfman fa la sua parte, mentre il ruolo di montatore di Lebenzan sembra mostrare qualche pecca evidente. Ma questo “Big Fish” rimarrà, eccome, nella memoria di chi ha saputo guardarlo con gli occhi del fanciullo cresciuto, mentre non avrà certo lo stesso successo agli occhi dello spettatore cinico ed inquadrato.
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