Regia di Ettore Scola vedi scheda film
Uno Scola corale e privato, domestico e minimale.
La casa è il luogo della malinconia, dei rimpianti e del riflusso. La famiglia è piccolo-borghese nel senso delle ambizioni personali e private sempre pronte ad essere sacrificate ma alla fine più importanti di quelle pubbliche e sociali. Fuori dalle mura domestiche si può avere fortuna ma la felicità è un’altra cosa per poterla facilmente costruire fra quelle solite quattro mura. Nel rettangolo delle relazioni parentali non si può fare entrare senza traumi il triangolo della propria relazione sentimentale. La famiglia è il luogo del quieto vivere, il quotidiano confrontarsi con genitori, moglie, fratello, zie , figli e nipoti in maniera ciclica affrontando i problemi del ruolo e sacrificando ogni giorno un pezzetto di vita per aumentare i rimpianti di non poter più pensare ai ricordi belli. L’ambizione del regista è quella di raccontare una storia e non la Storia di un uomo e non di una società, di una famiglia e non di una generazione. Lo stile del racconto di Scola è sincero fino in fondo nel lasciare fuori in tutti i sensi quello che accade aldilà della porta della casa di Carlo fino al punto di rendere ridicolo il fascismo, nella figura dello zio ruspante e provinciale, e di creare figure di contorno molto da bozzetto ma nel complesso efficaci, le zie zitelle per forza acide e pettegole. Quello che interessa qui è il respiro lungo della narrazione, il suo voler coprire ottanta anni in due ore con porzioni decennali e piani sequenza, che comincia e finisce con un ritratto di famiglia prima che le foto diventino facili e insignificanti sempre presenti e mai importanti. Un film attoriale e avvolgente dove le facce cambiano ma i rapporti non invecchiano dove per mezza lira si può sottovalutare un fratello e per uno schiaffo ci si può condannare alla malinconia.
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