Regia di Ettore Scola vedi scheda film
Scorrono 80 anni di storia (dal 1906 ai giorni nostri) nelle stanze di una casa della media borghesia romana, al quartiere Prati. In esse, si avvicendano ed intrecciano le vite di Carlo (impersonato prima da Andrea Occhipinti e quindi da Vittorio Gassman) e dei suoi parenti. Sul tema conduttore che vede Carlo, docente universitario, in un equilibrio caduco tra la moglie (Stefania Sandrelli, alla quale curiosamente lo stesso Scola aveva consegnato, anni prima, il ruolo di amante di Gassman ne La terrazza) e la cognata (Fanny Ardant), tra la grigia sicurezza di un matrimonio rassicuratore e la fervida passione di un amore improbabile, s'innestano quelli del fratello di Carlo, Giulio (Dapporto padre e figlio) e del gineceo domestico. Ma il leit motiv del film offre comunque prospettive e risposte (forse) diverse della stessa questione: la famiglia fa male? Sembrerebbe di sì a vedere come Scola allestisce il racconto, aperto e chiuso da una fotografia, come a dire la staticità, l'affossamento delle ambizioni individuali. Un po' perché anticipa i tempi del riflusso, mostrando come la famiglia - in un'ambientazione claustrofobica nella quale lo spazio placentare della casa, col corridoio che traghetta in epoche diverse i protagonisti, scrutandoli con occhio minimalista - offra al singolo l'impermeabilità alla Storia ed il rifugio nel quotidiano. Un po' perché ci si pugnala alle spalle (Carlo che non legge il romanzo autobiografico del fratello Giulio, intitolato Lo sperpero). Un po' perché ci si odia (la conflittualità tra le zie). Un po' perché si è infedeli (ancora il rapporto tra Giulio e Carlo, di quest'ultimo con la moglie e ancora di questa con la sorella). Un po' perché i vecchi vizi, pur cambiando le persone, non tramontano mai, e tutto il film è sostanzialmente una reiterazione delle stesse situazioni. Ma l'interrogativo si legittima quando, approssimandosi il film alla fine, la casa si spopola progressivamente, ed il vecchio professore rimane da solo ad occuparla. Secondo film di una trilogia che, con Ballando ballando e Splendor, gioca la carta della diffrazione temporale e dell'unità spaziale (là, la sala da ballo ed il cinema, qui la casa), raccontato con una sceneggiatura scritta con Maccari e Scarpelli ed intarsiata da molti episodi memorabili (la scena in cui Renzo Palmer finge di non vedere il nipote, quella a tavola nella quale Gassman litiga con un mite Noiret, quella dell'apertura continua della porta da parte di Castellitto in attesa degli ospiti per l'ottantesimo compleanno del nonno), confortato da un trucco impeccabile, orchestrato magnificamente da Scola che dirige attori tutti assolutamente intonati La famiglia viene impreziosito da una prestazione di Gassman che fa il paio con quella di De Niro in C'era una volta in America, tanto da meritare un posto al sole nell'Olimpo dei più grandi di tutti i tempi.
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