Regia di Carlo Verdone vedi scheda film
Tre motivi per scrollare di dosso da Carlo Verdone l’etichetta di erede di Alberto Sordi. Non che abbia qualcosa contro il vecchio Alberto, anzi, tutt’altro. Ma è sempre meglio ragionare per singole persone, indipendentemente da come siano state classificate abitualmente (in questo caso, Verdone viene sempre accreditato come l’erede di Sordi, senza approfondire più di tanto). Motivo numero uno: Verdone si immedesima in personaggi da italiano sì medio, ma mediamente infelice. Sordi non avrebbe mai rivestito i panni di un italiano mediamente infelice: troppo brillante ed opportunista, il suo cliché, per ritrovarsi a suo agio in quei panni. Sordi era Guido Tersilli, Verdone non riuscirebbe mai nell’impersonare il medico della mutua così corrosivamente come lo fece Sordi.
Motivo numero due: Verdone, a differenza di Sordi, sa calibrare con intelligenza il lavoro di regia e il mestiere dell’attore. Albertone non riuscì mai a realizzare un ottimo film dietro la mdp, forse solo Polvere di stelle si avvicina a un risultato decoroso. Il Verdone regista assiste il Verdone attore con lucidità ed attenzione, senza dimenticare il corollario umano che fa da coro alla storia. Motivo numero tre: Sordi, per ragioni storiche, non avrebbe mai rappresentato in modo così amaro la crisi dell’uomo di mezza età disilluso e smarrito.
L’amore è eterno finché dura, a suo modo, può essere inteso come un capitolo fondamentale del percorso verdoniano: cerca di uscire dal tunnel in cui era entrato il protagonista di C’era un cinese in coma, finito poi in analisi di gruppo con Ma che colpa abbiamo noi. Con questo film sulle metamorfosi transgeniche dell’amore ai tempi del cellulare, Carlo tenta di offrire una seconda chance al personaggio (che poi, gira e rigira, cambia nome e cambia mestiere, è sempre lo stesso) che ormai l’accompagna da un po’ (e non si dimentichino i due episodi del dittico Manuale d’amore, a loro modo ancora più disperati), attraverso una narrazione dalla parte di lui, in cui l’ironia è accantonata per far spazio al sarcasmo agrodolce del riso amaro.
Accanto a lui, Laura Morante ironizza (lei sì, lei può permetterselo) sull’isteria di alcuni suoi precedenti ruoli (si legga alla voce Ricordati di me), con le forme sconsolate ma non sfiorite della donna matura alle prese con il corso del tempo, e Stefania Rocca porta con sé l’aria di chi aspetta da una vita una grande occasione, in attesa del carpe diem che già Catullo aveva scomodato e che il Verdone attore non sempre (il personaggio, si intende) non ha saputo sempre cogliere (da Compagni di scuola a Sono pazzo di Iris Blond). Scena da ricordare: Verdone e Orsetta De Rossi in albergo dopo il concerto di Joe Cocker.
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