Regia di Matteo Garrone vedi scheda film
“Ancora un po' e sarà tutto finito. È strano perché dovrei essere triste. Invece mi sento più libero. Come se tutto perdesse peso. Te capisci, Sonia? Bisogna prima togliere tutto. E quando non c'è più niente, dopo cominci a raschiare. Con calma. E non butti via niente, raccogli tutto in dei sacchi e lo porti a bruciare. E lo stesso resta ancora qualcosa! Dopo che hai bruciato tutto, restano le ceneri… E poi si fondono le ceneri e finalmente… resta solo quello che è prezioso, quello che conta veramente.”
Vittorio (Vitaliano Trevisan) è un piccolo imprenditore orafo vicentino, con una passione per la lavorazione dell'oro ereditata dal padre e un vuoto affettivo che nessuna donna riesce a colmare: quando c'è la testa manca il corpo, quando c'è il corpo manca la testa.
L'incontro con la dolce e condiscendente Sonia (Michela Cescon), almeno al primo impatto, è l'ennesima delusione per Vittorio, contrariato dall'aspetto fisico della ragazza non conforme ai suoi standard: è ossessionato dalla magrezza. Sonia lavora in un negozio equo-solidale e si presta come modella di nudi per degli studenti d'arte, a riprova di un peso forma che la fa sentire a suo agio. Al di là dello scortese disappunto di Vittorio, l'incontro fra i due procede bene, tanto che col tempo diventano inseparabili.
Inconsapevole che il suo nuovo compagno sia sottoposto a cure psichiatriche, Sonia decide di andare a convivere, nonché di venire sempre più incontro alle richieste di Vittorio, dimagrendo a vista d'occhio; quelli che erano partiti come piccoli sacrifici, per di più ripagati dal raggiungimento di una forma fisica da lei stessa apprezzata, diventano senza avvisaglie costrizioni, soprusi, tormenti. Fra pesate quotidiane e grafici, fra digiuni e crisi di pianto, il rapporto fra i due si fa presto morboso…
“Primo amore” è liberamente tratto dal romanzo autobiografico “Il cacciatore di anoressiche” di Marco Mariolini, edito nel 1997 e cronaca di una tragedia annunciata: Mariolini, nonostante la disperata richiesta di essere fermato insita nel proprio romanzo, uccise a coltellate l'ex-compagna Monica giusto l'anno successivo. Monica era arrivata a pesare 38 chili. L'ex-moglie di Mariolini (che si è poi definito “anoressofilo”) addirittura 33.
Ovviamente ben lungi dall'essere un'indagine sull'anoressia, il quinto lungometraggio di Matteo Garrone – accostato a Fassbinder e mal accolto dalla critica tedesca - mostra una violenza rarefatta, psicologica, che esclude ceffoni e insulti propri della realtà e giostra sul soggiogamento, sulla patologia, sull'egoismo; tutti questi fattori crescono pian piano, si insinuano nel racconto ed esplodono in un finale che è dolorosissimo, soprattutto per come la consapevolezza che l'accaduto di quella sera sia stato tutto reale prevarica l'elemento di finzione cinematografica.
L'ossessione per la gracilità scheletrica viene suggestivamente correlata alla preziosità di una minima massa di oro nella produzione orafa, ma non viene fornita alcuna spiegazione causale della patologia ossessiva, coerentemente col percorso intrapreso già con “L'imbalsamatore”, rispetto al quale “Primo amore” risulta più ostico, impenetrabile, disperato; nessun intervento esterno (tantomeno lo psichiatra o il fratello di Sonia, dunque la scienza e il vero affetto) si prefigura a spezzare l'abbraccio esclusivo di due persone che, pur credendo di amarsi, scivolano da soli in un tunnel.
La delicatezza necessaria a mettere in scena una vicenda simile si fa compagna di una regia sempre più sicura, con Garrone che adotta soluzioni stilistiche quantomeno interessanti: la perla vera e propria è la scena della boutique, ma merita di essere citata anche la sequenza onirica con i volti in primo piano sfocati fino a renderli sfigurati e impalpabili. Al regista romano vengono inoltre di grande aiuto i consueti sodali, ovvero l'intensa fotografia di Marco Onorato e la superba colonna sonora della Banda Osiris, meritatamente premiata a Berlino con l'Orso d'argento.
Garrone prosegue imperterrito a sperimentare soluzioni a basso costo, quale l'impiego di Vitaliano Trevisan (di consueto scrittore, nonché co-sceneggiatore di “Primo amore”) in un ruolo così delicato; la sua forte inflessione vicentina, il suo volto imperfetto e uno stile recitativo composto (forse fin troppo) avvicinano drammaticamente il girato alla realtà, al pari del corpo di Michela Cescon, esibito in tutte le salse, compresa la condizione scheletrica alla quale è appositamente giunta per le riprese, peraltro effettuate seguendo l'ordine cronologico delle vicende narrate.
Film durissimo e di sicuro valore, “Primo amore” venne pressoché ignorato dal pubblico al tempo, ma una visione la vale senz'altro. Qualcosa non mi ha convinto pienamente, ma devo ancora capire di cosa si tratti.
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