Regia di Matteo Garrone vedi scheda film
Il fatto alla base del film (e del romanzo che ne costituisce il soggetto) è vero e credo che abbia avuto una fine più tragica rispetto a quella narrata: mi sembra che il pazzo abbia ucciso la ragazza e stia scontando una lunga condanna in galera. Il film di Garrone non è all'altezza del suo precedente "L'imbalsamatore", anche se ne richiama le atmosfere cupe e livide e l'inquietudine che attraversa la penisola italiana, come si vedeva nel viaggio al nord compiuto dai due protagonisti del film del 2002. Qui siamo nel mitico nordest, dove si consumò l'amore e la tragedia di Giulietta e Romeo e questa è una storia d'amore malata, condizionata dalla psicopatologia di lui e da non si capisce bene cosa di lei. E qui sta forse il difetto maggiore del film: non spiega - o non lo fa in maniera convincente - perché Sonia accetti supinamente le angherie, motivate soltanto da un desiderio insano, di Vittorio, che la vuole sempre più magra. È questo, accanto a una certa staticità della trama, che non fa amare questo film ed ha fatto dire a qualcuno (Marco Giusti, ad esempio) che «dopo un po' non te ne importa proprio niente». Però il film si fa guardare e riesce quasi a farci provare la fame fisica di Sonia, la quale a un certo punto (nella magistrale scena al ristorante) diventa la pazza, nel senso che all'apparenza la squilibrata è lei, anziché lui, che continua a fare la vita di sempre, salvo liquidare fino all'ultimo frammento il laboratorio lasciatogli dal padre.
Vitaliano Trevisan non mi è piaciuto, anche se ha la faccia dello psicopatico: fra l'altro si capisce poco quello che dice. Apprezzabile invece Michela Cescon, che esibisce spesso (fa anche la modella in una scuola d'arte) il proprio corpo nudo e scarnificato.
"Primo amore" non è una prova che il cinema italiano è uscito dal baratro melmoso in cui è precipitato, ma, messo insieme a Le conseguenze dell'amore, è un piccolo raggio di sole nelle tenebre.
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