Regia di Mario Mattòli vedi scheda film
Pur avendo esordito solamente 14 anni prima (con Tempo massimo, del 1934), Mario Mattoli si era nel frattempo rivelato come ottimo 'artigiano' del cinema e soprattutto regista e sceneggiatore decisamente prolifico, autore già di alcune decine (!) di pellicole. Nel solo 1948, nel pieno del periodo postbellico in cui anche Cinecittà risentiva di una pesante crisi, girò quattro lungometraggi fra i quali questo sconfinato Il fiacre n.13, tanto lungo (quasi tre ore di durata) che la produzione scelse di dividerlo in due segmenti: Delitto (quello di cui si parla qui) e Castigo. Immediatamente dopo Mattoli gira I due orfanelli con Totò, con il quale aveva da poco iniziato un forte (e anche qui: prolifico) sodalizio artistico, utilizzando come scenografie proprio quelle de Il fiacre n.13, usanza comune in quegli anni per ottimizzare le spese di produzione. Al di là di questi dettagli più o meno curiosi, come si può facilmente intuire anche solo dal fatto che non si tratta di un titolo passato alla storia (anzi), de Il fiacre n.13 c'è molto poco da dire: tratto da un romanzo ottocentesco di Xavier de Montepin, con una sceneggiatura firmata da Andrè Hugon e Jacques Rastier, si tratta di un melodrammone prevedibile e, per quanto girato in maniera discretamente elegante, di scarsa fantasia: colpi di scena, sì, ma al posto giusto, e i soliti elementi di richiamo del genere, a partire dall'omicidio fra fratelli per questioni ereditarie che sta alla base della trama. Fra gli interpreti, Vera Carmi (proveniente dalla popolare, in quegli anni, rivista), Sandro Ruffini (attore teatrale e della compagnia di prosa radiofonica dell'Eiar), Leonardo Cortese (già nella compagnia teatrale di Zacconi e, proprio in quei mesi, in quella di Adolfo Celi, insieme fra gli altri ad Alberto Sordi) e, in una particina, il giovane Galeazzo Benti(voglio). 4,5/10.
Da una questione ereditaria nasce una rivalità tra fratelli che porta all'omicidio. Il figlio dell'assassinato viene abbandonato su un fiacre.
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