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Ritorno a Cold Mountain

Regia di Anthony Minghella vedi scheda film

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La recensione su Ritorno a Cold Mountain

di FilmTv Rivista
6 stelle

Confezionatore di storie di passioni contorte su sfondi epici o d’epoca, l’inglese Anthony Minghella (che ha trovato a Hollywood i mezzi per il suo cinema un po’ altisonante e molto levigato) realizza con Ritorno a Cold Mountain il suo film migliore, più omogeneo di Il paziente inglese e meno pretenzioso di Il talento di Mr. Ripley. Forse perché il romanzo di Charles Frazier da cui è tratto gli offre preconfezionati tutti gli stereotipi necessari, forse perché la Guerra di Secessione è per definizione romantica, sta di fatto che qui Minghella non è costretto a invischiarsi in voli narrativi o a cercare alibi alla popolarità del racconto. Che è dichiarata ed esplicita: un ruvido ragazzo sudista e una colta “southern belle” si incontrano, si innamorano, si dichiarano e vengono immediatamente separati dalla guerra; per tre anni, lui vive tra gli orrori della battaglia, lei lo aspetta, le lettere di entrambi vanno perdute, lei si impoverisce ed è costretta ad affrontare una nuova vita di durezze, lui cerca di tornare a casa. Il film comincia nel 1864, sul campo di Petersburg, poco prima che Inman diserti dall’esercito confederato per tornare a Cold Mountain, e le storie procedono parallele: flashback del loro amore, il cammino di lui, costellato di incontri, agguati e aiuti inaspettati, le traversie di Ada, assediata dalla povertà e dagli sciacalli del Sud (ma i nordisti non sono da meno) e sorretta dal vigore di un’inattesa compagna, una vagabonda di nome Ruby. Minghella padroneggia i diversi piani temporali del racconto; realizza un’efficace scorcio della battaglia, dominata dal senso di morte, orrore, inutilità; ha un bello squarcio visionario (la scena in cui Ada guarda il suo destino in un pozzo, attraverso lo specchio); calibra colpi di scena, commozione, personaggi. In Ritorno a Cold Mountain c’è tutto quello che vi aspettate e ogni momento ha l’esito che prevedete. Un po’ troppo, e soprattutto troppo diluito, raccontato, “telefonato”. Quello che pare mancare è la passione straziante del vero mélo, il sentimento epico del vero film di guerra. Si resta perciò a occhi asciutti, come davanti a un buon prodotto televisivo un po’ prolisso. Jude Law e Renée Zellweger meritano la candidatura all’Oscar.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 8 del 2004

Autore: Emanuela Martini

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