Regia di Francesca Comencini vedi scheda film
Tutto comincia con la sparizione di un oggetto di uso quotidiano. Poi i colleghi a mensa ti isolano, il capoufficio ti assegna a qualifiche sempre più degradanti, non rispetta i tuoi orari e arriva a metterti contro altri colleghi, facendoti fare da capro espiatorio. I sintomi sono l'astenia, lo stress, la disistima di se stessi e le reazioni che tutto questo suscita anche nei familiari. È quanto accade ad Anna (Braschi), impiegata presso un'azienda romana, che vive a piazza Vittorio con una figlia adolescente a carico e fatica ad arrivare alla fine del mese. La trafila di disgrazie sul lavoro che riesce a inanellare ha un nome preciso. Si chiama mobbing. È la strategia che adottano alcune aziende per costringere il personale in esubero a dimettersi senza dovere ingaggiare battaglie contro i sindacati. Francesca Comencini lo racconta in maniera iperrealistica optando per il docu-drama: nessuna enfasi, pellicola sgranata, macchina a spalla quasi l'incubo della protagonista fosse uno scherzo di pessimo gusto oggetto di una candid camera. Il film, recitato da una Nicoletta Braschi in stato di grazia e mai tanto brava, ci rivela una verità amara: anche vincendo una causa per mobbing e ottenendo un risarcimento grazie all'intervento sindacale, nessuno torna più a lavorare in un posto dove ha sofferto e nel quale gli è stata tolta la dignità.
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