Regia di Siddiq Barmak vedi scheda film
L’inizio di Osama, Caméra d’Or a Cannes come migliore opera prima e Golden Globe come miglior film straniero, è forte e veloce. La repressione di una manifestazione di donne afghane da parte dei talebani, vista quasi in soggettiva da un cameraman (di cui vedremo l’esecuzione a tre quarti del film). Il modello pare quello della “scuola iraniana”, col suo intreccio programmatico di realtà e finzione. Invece il regista Siddiq Barmak, che esordisce nel lungometraggio, distende poi i ritmi e si dedica a narrare una vicenda esemplare, dal chiaro carattere metaforico. Maria, una bambina di dodici anni, per mantenere la famiglia rimasta senza maschi, si taglia i capelli e si traveste da uomo (facendosi chiamare Osama: Bin Laden non c’entra niente). Scoperta e imprigionata, la ragazza viene condannata alla lapidazione, ma poi graziata e affidata a un vecchio mullah, una specie di orco, che la porta in casa insieme alle altre mogli. Il tono è quasi da fiaba, la storia è bella, alcuni momenti sono intensi e la regia ha un’eleganza sorprendente. Ma ogni tanto cerca la metafora facile, la strizzata d’occhio, la furbata di regia (Maria/Osama che salta la corda al ralenti).
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