Regia di Shohei Imamura vedi scheda film
Aggressivo è il primo aggettivo che mi viene in mente, infatti Imamura fin da subito attacca lo spettatore con dei colori forti, decisi. Ce li sbatte letteralmente in faccia. La poetica del regista splende in questo Il profondo desiderio degli dei, denotando quello sguardo antropologico e ineluttabile che costituiranno uno dei suoi tratti distintivi più marcati. In questi mondi arcaici, l'autore si sofferma sempre sull'uomo come animale sociale e freddamente riscontra un'attitudine tragica a 'perdersi' nella superstizione irrazionale, che il più delle volte alimenta una crudeltà raccapricciante ed abominevole. Ma non ci vedo morale in questa visione, come in La ballata di Narayama, l'affresco rimane perfettamente equilibrato e neutrale, il giudizio spetta a noi e se in questo film il passato si mescola, scontrandosi con il presente (realtà tribale e capitalismo), nessuno dei due sistemi ne esce vincitore. L'uomo 'perde' sempre, l'intelligenza soccombe e rimane schiava degli istinti e delle convenzioni/gabbie sociali... Trasmettere questo nel 1969, quando il sistema si stava preparando ad inghiottire e a trasformare in moda mainstream il mito hippy del ritorno ad una vita arcaica al contatto con la 'purezza' della natura, voleva dire avere le idee molto chiare. Complimenti ad Imamura ed al suo team, questo è uno di quei titoli che consiglio vivamente, occhio però: è lunghino (quasi 3 ore).
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta