Regia di Shohei Imamura vedi scheda film
Al volgere degli anni Sessanta, Imamura si interessa alla cultura delle isole meridionali dell'arcipelago nipponico e la innesta nel tema dell'eterno contrasto tra modernità e tradizioni ancestrali. Lo sguardo del regista su questo scontro è pessimista, poiché se la modernità è distruttiva e corruttrice rispetto ad un patrimonio tradizionale, che rischia di andare inesorabilmente perduto, la cultura degli avi è portatrice di pratiche oscure e superstiziose, oltre che dedita alla perpetuazione di una razza tarata, attraverso la pratica dell'incesto e alla prevalenza del più forte sul più debole. Quest'ultima caratteristica, peraltro, sembra essere l'anello di congiunzione tra le due culture, con l'aggravante, a carico della modernità, dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo a fini di lucro. L'ambientazione su un'isola piccola e remota, in cui anche la coltivazione agricola è stata assoggettata alle superstizioni ancestrali, sembrerebbe anticipare lo scenario chiuso e misterioso che fa da sfondo a The Wicker Man (1973) di Robin Hardy, tanto da non far apparire peregrina l'ipotesi che Anthony Shaffer, autore del soggetto, potesse aver visto il film di Imamura.
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