Regia di Monte Hellman vedi scheda film
Quattro personaggi, tutti senza nome, due auto e una strada infinita che da Ovest ad Est unisce vari Stati dell’America, oltre che le solitudini dei protagonisti. Due giovani californiani, il Pilota (James Taylor, cantautore folk) e il Meccanico (Dennis Wilson, batterista dei Beach Boys) attraversano l’America su una vecchia Chevrolet del 1955 truccata, alla ricerca di automobilisti da sfidare in gare clandestine. Ai due si unisce una ragazza (Laurie Bird) incontrata durante il viaggio, e che con loro instaura un rapporto ambiguo. Ad una stazione di servizio, incontrano un uomo (Warren Oates) che viaggia su una Ferrari gialla GTO e decidono di sfidarlo in una gara fino a Washington: chi arriverà per primo a destinazione, avrà in premio l'auto dell'altro.
Monte Hellman, personalità tra le più interessanti del cinema americano dagli anni Sessanta ad oggi, cresciuto nella scuderia di Roger Corman ed autore di due western (Le colline blu e soprattutto il bellissimo La sparatoria, entrambi scritti e interpretati da un giovane Jack Nicholson) di scarso successo ma che avevano incuriosito la critica, lavora per la prima volta con una major, la Universal. E si suicida economicamente, perché Strada a doppia corsia (Two-Lane Blacktop), sovverte fin dal principio tutte le regole del genere e si traduce in un incredibile flop commerciale. Eppure è un’opera bellissima, cresciuta con il tempo fino ad acquisire, a ragione assoluta, lo status di film cult. Definito da molti l’anti-Easy Rider, Strada a doppia corsia è, come il film di Dennis Hopper, un road-movie esistenzialista che interpreta gli umori della generazione post-68. Ma se ne discosta per come affronta il genere prosciugandolo di ogni aspetto lirico, allungando e dilatando i tempi e soprattutto ammantando il tutto di una assenza e di un vuoto perfettamente percepibili. È il vuoto di una generazione che non ha più obiettivi, che ha perso completamente la strada ed una meta verso la quale recarsi, che vive alla giornata e che trova poco interesse in tutto ciò che è la vita quotidiana. Emblematica è in questo senso la descrizione dei personaggi. Il pilota ed il meccanico sono silenziosi, tra loro parlano a malapena se non per scambiarsi opinioni sui motori. Si fermano in stazioni di servizio, mangiano e si guardano poco in faccia, annuiscono ogni tanto e muovono il capo. La ragazza va a letto con il meccanico ma sembra innamorarsi del pilota, e passa con disinvoltura dall’auto dei due a quella di GTO, sempre con la stessa apatia e a volte solo perché le va di “sentirsi una cassetta”. Il pilota della GTO, più anziano, è logorroico, riempie di chiacchiere tutti gli autostoppisti cui dà un passaggio raccontando loro una versione sempre diversa della sua vita. Si crede un tipo in gamba (“Io con una sgasata, vi faccio sparire dalla strada se voglio”), ma finisce soltanto per essere patetico. Anche gli attori si adeguano agli stati d’animo dei personaggi, e quello che più emerge è naturalmente uno strepitoso Warren Oates, attore preferito da Sam Peckinpah e dallo stesso Monte Hellman, per il quale era stato già protagonista ne La sparatoria e che ritornerà nelle sue opere successive. Hellman utilizza una messa in scena essenziale, prosciugando la sceneggiatura e facendo a meno della colonna sonora (se non, ogni tanto, con qualche canzone) e di uno stile particolarmente innovativo, ma riesce allo stesso tempo ad essere originale e a confermarsi autore con la A maiuscola. La sfida su cui dovrebbe essere imperniato il film perde ben presto interesse: i tre si aspettano, si fermano, si scambiano le auto e la donna, si lasciano senza nemmeno salutarsi. Alla fine non interessa più neanche a noi sapere chi vinca o chi perda (in realtà, perdono tutti), perché siamo stati ormai trascinati, senza quasi rendercene conto, in una storia che procede senza direzione e senza un termine prestabilito, rappresentato da un enigmatico finale nel quale l’immagine si rallenta fino a interrompersi, e la pellicola si sgrana fino a bruciarsi. La storia si protrae nel tempo, senza soluzione di continuità.
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