Regia di Bruce Malmuth vedi scheda film
I FALCHI DELLA NOTTE appartiene a quel filone poliziesco americano costruito su alcuni schemi fissi, SERPICO pare il suo lontano modello soprattutto nel personaggio di Deke DaSilva, per il resto prevale il confronto cliché eroe positivo vs. genio del male. DaSilva è un poliziotto che con il fido collega Fox fa coppia fissa nel quartiere ad alto tasso delinquenziale del Bronx, ha un rapporto ormai concluso con una moglie donna in carriera, inviso ai superiori per il troppo zelo troverà nella cattura di un pericoloso terrorista un riscatto e qualche scatto in avanti nella professione. Il film di Bruce Malmuth viaggia su due piani paralleli: da un lato la noiosa routine di Deke, il corso antiterrorismo etc.; dall’altro la parte più accattivante e interessante, le gesta di Wulfgar. Questi è un terrorista internazionale squilibrato e fascinoso a cui piacciono i gesti eclatanti e proprio per questo motivo isolato o perlomeno non ben accetto nell’organizzazione, l’unico suo tramite è la spietata Shakka. Nella prima parte la vicenda si sviluppa e si snoda in Europa, le azioni sono contro il colonialismo britannico, poi dopo l’ultimo devastante attentato si taglia la barba, una impercettibile operazione chirurgica e diventa il Rutger Hauer che conosceremo e apprezzeremo nel successivo BLADE RUNNER. Sbarcato a New York Wulfgar prende sul serio la sua “missione”, come un novello messia al momento di uccidere sussurra: “Andrai in un mondo migliore” e si definisce paladino delle vittime e degli oppressi. “Non siamo eroi, siamo vittime” ribadisce a DaSilva quando la sfida sarà finalmente a due. Lo psicopatico dagli occhi di ghiaccio sa tutto di tutti, ma non conosce le doti da travestito del buon Deke.
Come vuole lo spettatore medio e/o televisivo e il mercato all’ingrosso il bene vince sul male, nonostante molte vittime innocenti e situazioni di alta improbabilità come vogliono le regole del genere. Dal punto di vista cinematografico l’olandese Hauer surclassa Sly Stallone pre-Rambo che ricorda un Al Pacino scialbo e fuori fuoco (e si vede un miglio che non possiede un background teatrale). Un buon inizio, una buona fine e la tensione procurata dal solo apparire in scena di Wulfgar non salvano un prodotto convenzionale, superficiale, furbetto e artefatto come le strade del Bronx. Pessime le musiche di Keith Emerson.
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