Regia di Mike Figgis vedi scheda film
Scoria di quel (breve) sottogenere del thriller, l’invasion-of-privacy movie, che aveva dato alcuni frutti - per la maggior parte pessimi- agli inizi degli anni ‘90, e di cui forse il migliore resta Uno sconosciuto alla porta di Schlesinger, Oscure presenze a Cold Creek ne mantiene senza ritegno tutti gli stereotipi e il moralismo istituzionale. La coppia Quaid e Stone (appassita), con relativa prole, decide di abbandonare l’isteria della metropoli, e se ne va ad abitare in una villona in campagna, che era stata teatro di violenze. L’ex proprietario burino Dorff, dopo aver trascorso qualche tempo in prigione, ritorna; i coniugi, impietositi, gli danno lavoro come tuttofare. Indovinate gli sviluppi. Il film si può guardare a occhi chiusi: tanto si sa esattamente cosa accade. Il guaio è che si tratta di una prevedibilità meno che ordinaria. Figgis, che già non è un grande autore, è del tutto invisibile. La suspense è precotta, di quelle da freezer e da scongelare al momento opportuno. Gli attori caricano la recitazione e sgranano gli occhioni, e arrivano sino alla fine. In confronto, Abuso di potere di Kaplan (il cui ricordo non è atroce) è una finesse di Siodmak.
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