Regia di Eric Bress, J. Mackye Gruber vedi scheda film
Il fulcro della teoria del caos è il cosiddetto “effetto farfalla”, secondo cui ogni azione, anche apparentemente banale, comporta conseguenze enormi per l’esistenza. Tale fulcro è anche alla base del film “The butterfly effect”: il protagonista, il giovane Evan, è affetto da problemi al cervello, nella parte di corteccia in cui ha sede la memoria. Su suggerimento del dottore che lo cura, Evan deve tenere un diario in cui annota tutto ciò che fa; questo espediente, originariamente pensato per aiutare i medici a scoprire il problema del ragazzo, si rivelerà fondamentale per il futuro di quest’ultimo, che attraverso i suoi vecchi scritti scopre di poter tornare indietro nel tempo e, lavorando su situazioni passate col famoso “senno di poi”, può cambiare tutto il suo futuro e quello di coloro che gli stanno attorno…
Interessante plot narrativo, sviluppato con discreto mestiere da Eric Bress, sceneggiatore di successo (“Final destination”), alla sua prima (ed anche ultima) fatica dietro la macchina da presa. La sceneggiatura ha numerose falle, ma è ovvio che andare avanti e indietro nel futuro ha implicazioni infinite, non completamente controllabili (a parte se ti chiami Robert Zemeckis). In particolare l’incongruenza principale riguarda il fatto che quando Evan torna indietro e poi si ritrova in un futuro modificato non è detto che sia passato per il giorno in cui ha compreso le potenzialità della sua mente e la potenza delle parole del diario: insomma il dottor Emmet Brown di “Ritorno al futuro” nella fattispecie avrebbe detto che lo sceneggiatore, lo stesso Bress, non ha pensato “quadrimensionalmente”!.
Inverosimile e controverso, tuttavia affascinante nell’idea di base ed appassionante da seguire. È uno strano ibrido tra teen-movie e fantascienza per via dei tanti elementi soprannaturali, esattamente in stile “Final destination”; originale ed adrenalinico al punto giusto, il film ha il merito di affrontare il tema sempre attraente della memoria intrecciandolo con la concezione del “what if…”. Un mix vincente: non un capolavoro, ma un film che si lascia guardare.
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