Regia di Vittorio Caprioli vedi scheda film
Un boss della camorra, emigrato in America, prima di morire chiede la sepoltura a Napoli. La vedova arriva in Italia dove incontra un’altra moglie e un figliastro del caro estinto. Ma è una trastola, una truffa: la nuova arrivata saprà reagire con astuzia.
Per Vittorio Caprioli questa è la sesta e ultima regia – oltre a uno dei due episodi del film I cuori infranti del 1963, l’altro essendo firmato da Gianni Puccini – e la stanchezza dell’autore/regista va di pari passo con quella che stava travolgendo il cinema italiano in quegli anni. Una sorta di ritorno alle origini, in fondo, questo Stangata napoletana, che vede Caprioli alle prese con una commedia brillante (quantomeno nelle intenzioni) ambientata nella sua amata città natale con quanto ne consegue: i personaggi sono irrimediabili guitti, i dialoghi sopra le righe, le situazioni gravide di ironia e fondamentalmente tutto è ampiamente già visto e prevedibile. La ricerca di toni sguaiati appare insomma fin troppo forzata e nemmeno il ritmo salva la pellicola, che sfora di una manciata di minuti le due ore e spesso si incarta, incespica. D’altronde – pur essendo la fattura assolutamente cinematografica – si tratta di una produzione Rai, finalizzata a una messa in onda in due puntate da un’ora ciascuna. Sul versante degli attori in scena mancano poi i nomi di grande richiamo quanto i volti efficaci, nonostante il mestiere non sia affatto carente: fra gli altri troviamo Margaret Lee, Treat Williams, Regina Bianchi, Toni Bertorelli, Gigi Reder e, naturalmente, lo stesso Caprioli in una particina. Interprete indiscutibile, il Nostro non ebbe altrettanta fortuna dietro la macchina da presa pur senza sfigurare nemmeno in questo ruolo. 3,5/10.
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