Regia di Alfonso Brescia vedi scheda film
Difficile qualificare questo sottoprodotto della commedia(ccia) italiana, ma rimane comunque qualche curiosità per quanto riguarda il complesso dei contenuti, che fanno di Elena sì, ma... di Troia una sorta di ibrido a cavallo fra il contemporaneo Decamerotico (per la struttura episodica e le trame licenziose), il peplum di quindici anni precedente (per l'ambientazione in costume antico) e ovviamente la commedia erotica anch'essa in gran voga in quel momento, richiamata da situazioni e linguaggio prettamente pecorecci come al genere (ahinoi) si conveniva. Brescia non ha lasciato grandi testimonianze nella sua pur vasta opera e in effetti è stato un mestierante dedicatosi a un po' di tutto, nel cinema italiano, pur di sbarcare il lunario; la presenza di Don Backy già sorprende un po' di più, anche se il cantante/attore dopo l'esperienza positiva di Banditi a Milano (Lizzani, 1968) era precipitato nel vortice della serie Z più sboccata prendendo parte a titoli come Le calde notti del Decameron, il Satyricon di Gian Luigi Polidoro (una parodia risibile di quello felliniano) e Poppea, una prostituta al servizio dell'impero. Nel resto del cast compaiono alcuni caratteristi come Pupo De Luca, Carla Mancini e Nello Pazzafini, mentre la sceneggiatura è frutto del regista, di Renzo Genta, di Vittorio Vighi, dello sciagurato ingegno di Piero Regnoli e di un errore di percorso di Mario Amendola. Brescia dirige con la mano sinistra e il film - tralasciando la storia demenziale e i dialoghi beceri, tutto condito di una gratuita volgarità - è uno sfrenato susseguirsi di momenti incongrui, montaggi sballati, inquadrature incomprensibili: il massimo per chi va in cerca di un po' di sano trash, il peggio del peggio per chiunque altro. 1/10.
Due miseri e affamati vagabondi finiscono per caso nel palazzo di Menelao. Sfamati e dissetati, uno dei due farà sua la bella Elena, trascinando entrambi in un mare di guai. Ma Elena stessa li aiuterà a fuggire.
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