Regia di Spike Lee vedi scheda film
“Gente mia, gente mia. Cosa posso dirvi? Cosa posso dirvi? Ho visto, ma non ho creduto. Non ho creduto a quello che ho visto. Riusciremo mai a vivere insieme? Insieme riusciremo mai a vivere?“
Bedford-Stuyvesant, quartiere di Brooklyn pullulante di immigrati, giornata afosa del 1989: non è lo sfondo su cui è ambientata la vicenda, è esso stesso il protagonista.
Mookie (Spike Lee) è un ragazzotto di colore, fidanzato con l'inquieta Tina (Rosie Perez) e addetto alla consegna delle pizze a domicilio alla pizzeria di Sal (Danny Aiello), lavoratore instancabile italoamericano con figli appresso Vito e Pino (John Turturro).
Le “istituzioni” nere del quartiere sono il pittoresco dj Mister Señor Love Daddy (Samuel L. Jackson), l'anziana Mother Sister (Ruby Dee) e un vecchio, buono ma ubriacone deriso da tutti, soprannominato 'Il Sindaco' (Ossie Davis), che fra un lavoretto umile per comprarsi da bere e una lattina di birra Miller, consiglia ad un menefreghista Mookie di fare sempre la cosa giusta.
Intanto, in questo quartiere dove gli italoamericani odiano gli afroamericani, che a loro volta non vedono di buon occhio portoricani, coreani e sbirri, emergono sostanzialmente tre emblemi di ribellione: il balbuziente Smiley (Roger Guenveur Smith) che vende icone di Malcolm X e King, il corpulento Radio Raheem (Bill Nunn) che gira perennemente con uno stereo che spara a manetta “Fight the Power” dei Public Enemy e lo schizzato Buggin' Out (Giancarlo Esposito), piantagrane pronto a boicottare la pizzeria di Sal. Quando ai primi “regolari” disordini seguiranno eventi peggiori, Mookie non farà la cosa giusta...
Nel 1989 Spike Lee era un trentaduenne con una formazione e un'esperienza alle spalle più che solide; “Fa' la cosa giusta” era già il suo quarto lungometraggio e suscitò polemiche a non finire da parte della critica, mentre il riscontro di pubblico fu quantomeno discreto: il film è lontano dall'essere un prodotto di propaganda per la rivolta afroamericana, al contrario di quanto venne detto allora da alcuni critici statunitensi, ma tratta con un certo realismo, con un occhio interno alle vicende, la tematica del razzismo e della convivenza fra etnie resa impossibile dalle mele marce che infestano ognuna di esse, che pisciano deliberatamente su vasi colmi di una rabbia sopita fino all'ultima goccia possibile. I personaggi negativi sono ovunque: Mookie è un egoista, Pino è razzista, Buggin' Out inscena una rivolta pretestuosa e stupida, Sal mette da parte i pregiudizi solo per mandare avanti gli affari nel quartiere e così via, fino ad arrivare a forti divisioni interne e fratricide.
Le parole di Martin Luther King e di Malcolm X si stagliano su sfondo nero prima dei titoli di coda, esemplificando i loro pensieri, entrambi indirizzati verso il superamento delle barriere razziali ma divisi dalla visione della violenza, necessaria forma di autodifesa per Malcolm Little e invece rifiutata in tutto e per tutto da King: divisione è la parola chiave.
Un film forte, di rottura, che non salva nessuno nonostante il trasporto (talvolta eccessivo) di Lee per la causa afroamericana e che, riprendendo fatti accaduti negli anni '40, anticipa le violenze di Los Angeles di tre anni dopo. Sul versante tecnico, inoltre, c'è solo da complimentarsi: Spike Lee non si perde in virtuosismi e recita discretamente nonostante gli manchi il physique du rôle, è abbacinante la fotografia di Ernest Dickerson e gli interpreti sono pressoché tutti ottimi, con Aiello, Turturro e Davis sugli scudi. Energico, duro e crudo, “calda” testimonianza artistica di un mondo spaccato, da recuperare.
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