Regia di Valeria Bruni Tedeschi vedi scheda film
Più che un’autobiografia, un autoritratto. Interni di famiglia e di vita, passeggiate nei meandri di un passato scomodo, disagiato, vissuto da Valeria Bruni Tedeschi tra una Torino assediata dal piombo degli anni del terrorismo e una Parigi più liberata, che l’accoglie come una figlia adottiva. L’attrice debutta così nella regia, rimembrando di sé e dei suoi cari, delle sue insicurezze e delle sue paure, dei suoi sogni e delle sue fragilità. Fata che spalanca gli occhi ad ogni passar di novità o sorpresa, di incredulità e bruttura, Federica (l’alias scelto da Valeria, come transfert) riflette sulla sua ricchezza, che la imprigiona e - paradossalmente - la limita; sulla prematura morte del padre; e sui suoi conflitti parentali che - al contempo - la rassicurano e la destabilizzano. Se c’è uno stile in questo suo esordio è nella scelta di non averlo, di lasciarsi trasportare (appunto) dall’intuito e dal cuore, setacciati all’ombra di una razionalità smarrita e vitale, punitiva ma inesorabilmente creativa. E così, il film vive di momenti, di situazioni, di approcci, di scudisciate, di tempi sospesi e di provocatorie ironie. Come spesso accade nelle opere dirette dagli attori che si spostano dietro alla macchina da presa, la recitazione è la zona più accarezzata e accudita, coccolata e circondata d’affetto. Si veda qui, ad esempio, la scena del pranzo con fratelli, sorelle, madri e fidanzati che recitano come si trovassero davvero in (una) famiglia, nelle comodità delle loro lingue e nell’agiatezza dei loro vestiti, riuscendo pertanto a regalare piccole verità in una finzione volutamente al limite del surreale. Si capisce quale cinema ami Valeria, quali le cose che non farebbe né vedrebbe mai sul grande schermo, quali i sapori e quali le atmosfere: un territorio di ricerca e di sperimentazione che a volte fa traballare il film, vuoi per banali ingenuità, vuoi per inevitabili cali di tensione. Ma sono difetti funzionali, addirittura auspicati (ricercati?), che permettono alla pellicola di non fidarsi ciecamente del proprio talento e di navigare a vista, senza troppe programmaticità. Tra una Chiara Mastroianni che s’impone e uno Jean-Hughes Anglade quasi in vacanza, si fa notare un curioso Lambert Wilson con voce italiana.
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