Regia di Kim Ki-duk vedi scheda film
“Ogni uomo è un’isola”, bisognerebbe banalmente dire, o forse è meglio non correre il rischio di banalizzare. Sta di fatto che le isole della baia coreana di questo film sono isole artificiali, casette su zattere con tanto di buco per i bisogni fisici, in cui uomini (a volte con donne) si isolano da una civiltà molto lontana e convivono con una natura fredda che li lascia alle loro manie e i loro istinti. Ancora una volta, però, come in tutti gli altri primi film di Kim, si farà strada la scoperta del sentimento, una scoperta che nella filmografia del regista corrisponde a quel lento passaggio da un cinema violento e quasi funebre alla svolta zen di “Primavera, estate..”, “Ferro 3” e “Soffio”, almeno per come stanno le cose fino ad “Arirang”. Nonostante “Seom” si configuri nella prima fase della produzione del regista coreano, ci sono svariati motivi per cui risulta speciale e unico, un’ascesa che dimostra una grande maturazione. Tutto va rintracciato nei punti in comune che questa pellicola ha con alcuni suoi film successivi.
“Seom” racconta di un microcosmo chiuso, lontano, una dimensione nebulosa ed eterogenea in cui vagano fantasmi fatti di carne e sangue, sadici e fortemente autopunitivi. I personaggi saranno cambiati, ma l’ambientazione rarefatta e isolata tornerà in “Primavera, estate..”. La protagonista di “Seom”, poi, è il primo personaggio muto di Kim, una caratterizzazione vicina ad altri personaggi femminili della sua produzione più recente, una donna (finalmente, non scordiamoci “Crocodile”) padrona del suo destino, forte, che è vittima solo quando vuole esserlo, e sa essere carnefice, anche di sé stessa. Il film, come il bel volto della protagonista, imbruttito da un costante cipiglio, presenta uno stile elegante e molto controllato, temperato, con squarci lirici consentiti da un commovente accompagnamento musicale, ma “imbruttito” da immagini di violenza insopportabile, a partire dall’utilizzo fantasioso e impensabile degli ami da pesca. In questo microcosmo “liquido” e errabondo deve ancora ricrearsi la civiltà, e il compito è affidato ai due protagonisti, che si scoprono amanti oltre l’inciviltà dilagante. L’uomo diventa pesce e “pesca” la propria irrazionale bestialità. Kim diventa finalmente filosofo e poeta, osserva e non spiega, non si perde in parole, cerca le immagini, non piange per la società, ma trasla in simboli e allusioni raffinate e truculente. Cresce con i suoi personaggi verso l’eleganza visiva, ma continua ad impressionare e a dare pugni nello stomaco. Sacrifica trovate meta-artistiche per raccontare i colori (delle case sulle zattere) scoloriti dal grigiore animalesco. Solo il giallo finale, accecante e amoroso, è segno di un cinema che sta davvero crescendo e porterà a capolavori. Non è un caso che questo film l’ha fatto conoscere in tutto il mondo.
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