Regia di Koji Wakamatsu vedi scheda film
Film considerato un capolavoro. Considerato anche erotico. Ora, sul primo punto va da sé che molto conta il gusto. Sul secondo però, contano i fatti. E di erotico qui non c'è proprio nulla. Molto invece di tragico -affogato in un contesto grottesco e iperviolento (per l'epoca)- recitato e girato ad effetto fumettistico.
Una sera, quattro balordi abusano di Poppo (Mimi Kozakura), una diciasettenne, violentandola sul terrazzo di un condominio. Dal balcone posto al piano superiore Tsukio (Michio Akiyama) assiste alla scena, per poi raggiungere la ragazza priva di sensi. Quando al mattino Poppo si risveglia, desidera suicidarsi, ma non trova il coraggio di gettarsi dal quinto piano e chiede a Tsukio di ucciderla. La ragazza aveva già subito un'aggressione sulla spiaggia, ed è essa stessa figlia generata da uno stupro di gruppo, subito dalla madre. Uno dei quattro violentatori, ancora sul balcone assieme agli altri, la costringe di nuovo a fare sesso. Tsukio promettendo che arriverà ad accontentare la ragazza, cioè uccidendola, la conduce nel suo appartamento dove giacciono i corpi di quattro cadaveri: anche lui infatti ha subito violenza di gruppo, ma ha reagito estremamente, pugnalando a morte i violentatori.
Premesso che il cinema orientale non rientra tra i miei preferiti -forse a causa delle centinaia di tediosissimi horror visionati (e in breve dimenticati) ai tempi dello sdoganamento nel nostro paese (a cavallo degli Anni 2000)- nonché affatto erotici trovo i cosiddetti titoli appartenenti al pinku eika (ne uscì anche una serie di inediti -Sex & Violence 3- per Shendene & Moizzi, curata da Nocturno cinema), lascia sempre molto sorpreso l'entusiasmo dei tantissimi estimatori del cinema nipponico, cinese e coreano. Non che non esistano capolavori in arrivo dall'Oriente, e basterà al riguardo citare un regista che ha in curriculum veri gioielli cinematografici: Akiro Kurosawa. Il fatto è che sempre più spesso lo stile degli orientali (e questo Yuke yuke nidome no shojo, a mio parere, non fa differenza) è estremamente diverso, talvolta eccentrico, talaltra grottesco, spesso incomprensibile. Almeno per quelli che sono i parametri occidentali. Sto prendendo alla larga la recensione perchè ci si sente sempre un po' a disagio quando si va controverso all'opinione più comune, che in questo caso -leggendo in giro le varie recensioni- tratta il film di Kôji Wakamatsu alla stregua di un capolavoro. Ammetto che ignoro (nel senso che non conosco) la sterminata filmografia del regista, ma se questo film rappresenta uno dei suoi titoli migliori, la voglia di approfondirne la comprensione sparisce, letteralmente. Non c'è dubbio che Su su per la seconda volta vergine sia ben girato, considerato che si tratta di un prodotto realizzato sul finire degli Anni '60. Il regista lavora piuttosto bene sul piano tecnico, offrendo in buona parte scene girate in un eccellente bianco e nero, ma inserendo anche un originale flash back virato azzurro (la violenza subita da Poppo in spiaggia) e un paio di sequenze a colori (quando mette in scena la stanza del massacro). Nulla da dire quindi sul piano visivo, in grado cioè di condurre il film decisamente sopra la media dei contemporanei lavori di altri registi.
I dolori però arrivano se si affronta la storia: che non ha nulla di originale, al contrario affoga in una lunga serie di ripetitivi dialoghi (addirittura estenuanti), con illogiche e incomprensibili frasi (e non si dica che l'autore filosofoggia, semmai più facilmente vaneggia). Il pessimismo (a dir poco retorico) spinge Wakamatsu a livelli -ahinoi- risibili e grotteschi: tutti i personaggi subiscono inaudita violenza sessuale e/o fisica (Poppo, i suoi genitori, Tsukio e persino i violentatori, nel delirante massacro compiuto con coltello dall'occhialuto psicopatico) e il finale nerissimo contribuisce a chiudere il cerchio delle sfighe. Che più di così è impossibile metterne assieme.
L'osannato regista di Su su per la seconda volta vergine (perchè poi seconda, dato che la protagonista subisce tre volte violenza sessuale?), come spesso avviene nella maggior parte dei film nipponici, riesce a sminuire il dramma di base riprendendo recitazioni grottesche, accompagnate da un vero e proprio inceppamento narrativo, qui ad esempio originato da dialoghi allucinati, e da un paio di frasi reiterate senza sosta (quante volte Poppo dice di voler morire e chiede di essere uccisa? Non meno di 200). Ammetto di non averlo compreso, che qualcosa di questo capolavoro mi è certamente sfuggito. Ma alla resa dei conti questi 65 minuti spesi nella visione sono apparsi una eternità. Tradotto in termini di gusto personale, quindi, un bel brutto film. E con buona pace dei tanti estimatori del cinema orientale.
"Ci sono così tanti modi terribili e intimi di subire una violenza." (Roxane Gay, Hunger)
F.P. 18/10/2019 - Versione visionata in lingua giapponese (durata: 65'49")
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