Regia di Koji Wakamatsu vedi scheda film
Sulla terrazza di un grattacielo, una ragazza viene stuprata dal branco. Solo un ragazzo non partecipa alla violenza di gruppo, anche se si limita a guardare. A lui la ragazza chiede di ucciderla. Il giovane si rifiuta, ma non perché sia incapace di uccidere.
Di vendetta in vendetta, non si può che giungere ad un finale tragico.
Una parabola che si basa sul binomio inscindibile eros e thanatos, o, meglio ancora, sull'identificazione tra sesso violento ed omicidio. Più volte viene utilizzato il verbo uccidere per indicare indifferentemente l'atto sessuale e quello di ammazzare. E il coltellaccio del protagonista penetra nelle carni delle sue vittime come l'organo sessuale maschile s'introduce in quello femminile.
La metafora non era nuova, ma è enunciata con un linguaggio sgangherato, basato sull'estetica della Nouvelle Vague, che alterna bianco e nero e colore e non rifugge dal mostrare scene che sembrano anticipare lo splatter dell'horror contemporaneo. Per di più, Wakamatsu si autocita e infatti Su su per la seconda volta vergine sembra un'appendice del suo precedente film Angeli violati (1967), ma non è gran cosa.
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