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La conversa di Belfort

Regia di Robert Bresson vedi scheda film

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La recensione su La conversa di Belfort

di Antisistema
8 stelle

Bresson nasce genio a differenza di molti altri maestri del cinema, che hanno dovuto anche macinare film su film prima di mostrare il loro talento. La Conversa  di Belfort (1943), già dimostra di essere in tutto e per tutto un film adulto, rivelando e mostrando in modo già estremamente sviluppato, le caratteristiche fondamentali su cui si muoverà il cinema di Bresson.

Notevole non solo per essere stato girato in piena seconda guerra mondiale, ma anche per le notevoli doti della messa in scena capace di esplodere pura potenza cinematografica da una pellicola ambientata per il 95% in un convento di suore. 

Il bianco e nero di Bresson acquisisce subito connotati unici ed originali, La Passione di Giovanna d'Arco di Dreyer (1928) è un modello di partenza per il regista, che applica la lezione del cineasta danese in modo estremamente inventivo, arrivando a ridurre la narrazione e le scenografie all'essenziale. La fotografia Bressoniana non predilige inutili orpelli o distrazioni, arrivando a rendere il tutto estremamente spartano e sobrio, eppure non ci si trova mai a pensare di stare assistendo ad un qualcosa di sciatto, poiché c'è tanta poesia che si può riscontrare nell'assenza.

 

Il togliere il superfluo è la cifra stilistica del film e del cinema di Bresson, così facendo qualsiasi elemento introdotto nella scenografia fossero anche dei fiori che la novizia Anne-Marie raccoglie nel giardino del convento, risaltano in tutta la loro umile potenza; in sostanza l'assenza dona forza a qualsiasi cosa che si discosti dal sobrio bianco e nero, facendone assaporare allo spettatore pienamente la presenza. L'elemento stilistico-formale più interessante del film è tutto qui, il poco che si esalta nel sobrio a scapito dei tanti film odierni che satirano e riempiono l'immagine di inutilità fine a sé stesse. In una tavolozza sobria e anti-spettacolare, risplendono così le figure delle suore, tra cui la novizia Anne-Marie e la criminale Therese. Redenzione, senso di colpa, espiazione e sacrificio per raggiungere la salvezza, sono i nobili temi di cui è pregna questa pellicola ricolma di vera spiritualità; il totale dono di sé verso l'altro che ne ha effettivo bisogno, può spingere quest'ultimo alla redenzione che potrà dare un'effettiva svolta alla propria vita. 

 

Una pellicola quindi che nella spartana messa in scena, contrasta con una forte vitalità che trabocca da Anne-Marie, ragazza dal forte carattere che sente un forte impulso nel voler redimere un'anima persa come Therese, d'altronde molte suore lì presenti sono ex-criminali, le quali sono vera testimonianza del potere salvifico e benefico della conversione.

Obbligatoria la visione della pellicola nella sua versione integrale, che ripristina sequenze fondamentali come il giudizio delle suore verso Anne-Marie ed i contrasti tra costoro, infelicemente eliminati dalla versione italiana dell'epoca per questioni di censura morale e religiosa, tipica di uno stato bigotto e civilmente arretrato come il nostro. Non mancano eccessi schematici nel tratteggiare le suore e degli eccessi melodrammatici poco consoni, anche se non si può riconoscere che ci si trova innanzi ad un esordio maturo e deciso, di un regista che farà la storia del cinema.

 

locandina

La conversa di Belfort (1943): locandina

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