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La conversa di Belfort

Regia di Robert Bresson vedi scheda film

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La recensione su La conversa di Belfort

di Peppe Comune
8 stelle

Anna-Mariè (Renée Faure) è una ragazza che entra come novizia in un convento specializzato al recupero di detenute. La ragazza prende subito a cuore le vicende di Thèrèse (Jany Holt) e vuole convincerla ad entrare in convento per redimerla dai peccati. Alla fine Thèrèse seguirà il consiglio di Anna-Mariè, non prima però di aver ucciso l'uomo che ingiustamente l'ha costretta a fare due anni di carcere.

 

 

http://upload.wikimedia.org/wikipedia/it/thumb/d/d6/La_conversa_di_Belf%D0%BErt.png/280px-La_conversa_di_Belf%D0%BErt.png

La conversa di Belfort - Renée Faure

 

Immerso nella delicata grazia di un convento, "La conversa di Belfort" segna l'esordio alla regia di Robert Bresson il quale, con la maturità di chi è già grande, ci restituisce in tutta la sua pregnanza etica l'austero percorso di una suora che conduce alla beatitudine eterna. Anna-Marie si sente particolarmente portata per la dedizione per gli altri ma la ferrea disciplina del convento e il rigido rispetto per le regole mal si sposano con la sua esuberante vitalità, la sua smania di agire. Nonostante il generale apprezzamento per le sue pie intenzioni, il suo carattere forte e impulsivo la farà entrare in contrasto con le sorelle. É soprattutto l'atteggiamento riottoso di Thèrèse a incrinare il suo amor proprio e a farla dubitare delle bontà del suo percorso esistenziale. Si è già accennato al fatto che "La conversa di Belfort" è stato il primo film del cineasta francese. Va aggiunto che in esso sono già presenti i tratti peculiari della sua poetica. Il rigore innanzitutto, che in Bresson agisce per sottrazione di tutto ciò che è ritenuto superfluo per le sue finalità espressive. L'antispettacolarità dell'azione scenica è un aspetto che nel suo cinema è condotto a un livello di estremità che non conosce eguali. Emblematiche e bellissime sono le sequenze in cui Thèrèse, prima si procura l'arma, e poi arriva all'appartamento dell'uomo per ucciderlo. La macchina da presa non si sposta di un centimetro dalla faccia di Thèrèse, tutto ciò che gli capita intorno non ha importanza e perciò non merita di inquinare l'essenzialità di un volto solcato dalla sofferenza, la pregnanza iconografica di occhi infuocati dalla vendetta. Altro aspetto presente è poi il percorso spirituale dell'uomo verso l'espiazione delle sue colpe terrene, un percorso che avviene attraverso la sofferenza che in Bresson non è mai la banale trasposizione scenica di una religiosità estetizzata, la mera rappresentazione di rituali liturgici. In Bresson è continuamente problematizzata la complessità di un percorso di fede che si risolve sempre in una questione d'intamità spirituale tra l'uomo e Dio, in un rapporto simpatetico tra il creatore e il creato. In questo film, Bresson affida al parallelismo che si concreta tra il vissuto di Anna-Mariè e quello di Thèrèse il compito di rappresentare la tortuosità degli imprescrutabili disegni divini. Per Anna-Mariè, Thèrèse è il dono ricevuto da Dio per il suo cammino di fede. Per Thèrèse, invece, le attenzioni di Anna-Mariè gli impediscono di vivere in beata solitudine col rimorso della sua colpa segreta e la tentazione di aprirsi di fronte a cotanta bontà è forte e dolorosa. Perciò Thèrèse la rigetta, gli mosta aperta ostilità. Alla fine Anna-Mariè riesce a creare una sorta di continuità spirituale tra la sua vita e quella di Thèrèse, ma questa deve ancora scontare le sue colpe con la giustizie degli uomini. Credo si possa affermare che già in questa prima opera c'erano elementi sufficienti per poter intravedere una cifra stilistica unica nel panorama cinematografico di uno dei più grandi cineasti di sempre.

 

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