Regia di Nikita Mikhalkov vedi scheda film
Tra le casupole in rovina e incendiate di un piccolo villaggio russo, si consuma una di quelle stupide tragedie che di solito accadono a guerra finita, quando gli animi sono innervati dalla violenza, subita e inferta, e dall'odio.
Opera prima di Nikita Mihalkov (e saggio di fine scuola di regia), è una breve pellicola che già mostra il suo talento, e questo per svariati motivi: l'accurata scelta delle inquadrature e della posizione della macchina, l'aver voluto un argomento fuori dagli schemi, e un'apparente povertà, innervata però da molti stimoli e sottintesi.
La trama è semplice, ma lo spettatore si sente a via via coinvolto in quei piccoli destini di persone che vivono ai margini della storia, ma pure rappresentativi di tutto il contesto.
Come già accennato, la pellicola si distacca da quel diluvio di titoli della produzione sovietica, qualcuno non male ma in generale retorici e impersonali, che esaltano l'eroismo dei soldati e la vittoria riportata nella II guerra mondiale. La vicenda di questo mediometraggio, invece, vede soldati sovietici e soldati tedeschi praticamente sullo stesso piano: entrambi sono sfiniti e traumatizzati dalla guerra, probabilmente anche incattiviti, e hanno perso sostanzialmente il senso delle cose. Che senso, infatti, ha quella stupida sparatoria tra le macerie? Nessuno, ma essi vi si gettano con una specie di cinismo, e un riso sadico, sardonico e beffardo sulle labbra. Il discorso dei quadri da proteggere (piuttosto insulsi, per la verità) si sbriciola davanti a degli animi che ormai sono scivolati nella follia post bellica dei reduci, salvatisi nel corpo ma distrutti nell'anima.
La ragazza asiatica sembra essere l'unica che ha conservato un briciolo di umanità e buon senso. L'incipiente sentimento che nasce tra lei e il ragazzo è solo accennato, con quei pochi tocchi giusti che sanno dare solo i grandi registi.
Il suo film, inoltre, è venato di tensione e accenni di lirismo.
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