Regia di Nuri Bilge Ceylan vedi scheda film
Kasaba, ovvero piccola città. Il riferimento è a Yenice, il paese della campagna turca in cui il regista è cresciuto, e nei pressi del quale è ambientato questo film: il ritratto di tre generazioni, attraverso le vicende, vissute o raccontate, dei membri di nucleo familiare, in cui sono rappresentate tutte le età, dall’infanzia alla vecchiaia. La storia, che, apparentemente, si svolge in un’unica giornata, in realtà, abbraccia tre stagioni: l’inverno (la mattina che i due bambini, Ali e Asye, trascorrono a scuola), la primavera (il pomeriggio in cui essi si trattengono nel bosco per giocare) e l’estate (la sera, in cui tutti si ritrovano insieme, all’aperto, seduti intorno ad un fuoco da campo). In questo suo primo lungometraggio, Nuri Bilge Ceylan riprende, dal suo precedente corto Koza (1995) – con alcune evidenti citazioni letterali - il tema dominante della natura come teatro del tempo che passa, e come sede di un divenire universale che è essenzialmente causa di dolore e di rivalità tra gli individui. Dalle guerre di conquista condotte da Alessandro Magno fino alle gelosie tra parenti, l’umanità appare inutilmente divisa e crudelmente intenta a procurare sofferenze a se stessa e, in generale, a tutte le creature del mondo, dimenticando gli antichi principi della civiltà ed i fondamentali valori della pace e della solidarietà. La (dis)unione tra gli appartenenti ad una specie, ad un popolo, ad una comunità, comincia da quella che si verifica tra genitori e figli, tra fratelli e sorelle, i quali, onorando (o, al contrario dimenticando) gli atavici doveri imposti dai legami di sangue, determinano, su scala ridotta, i modelli di comportamento dell’intera società. La cosiddetta incomprensione – tale sembra essere la tesi sostenuta da Ceylan – non è che un facile pretesto dietro cui si nasconde la mancata volontà di ascoltare, di prestare assistenza morale, di immedesimarsi nell’altro. L’indifferenza è l’origine del cinismo, che si rifiuta di capire il diverso da sé, e tende per questo ad annientarlo. In questo film esso assume le sembianze di un bambino che tira la ghiaia a un vecchio, rovescia sul dorso una tartaruga, gioca con la lapide di una tomba. Sono queste le tipiche manifestazioni dell’assenza di coscienza, ossia di quella primitiva forma di immaturità che è prodotta dalla perdita di contatto col passato: il passato, in cui tutto è già accaduto, e che, quindi, tutto spiega, nel tormentato ciclo vitale che va dalla nascita alla morte.
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