Regia di Samuel Fuller vedi scheda film
E' un film di guerra per tre quarti povero di azione, perché solo gli ultimi venti minuti vedono una battaglia vera e propria (che comunque è ben diretta). Infatti, l'interesse di Fuller è sicuramente lo studio e la definizione dei personaggi, anche mostrando come ciascuno di essi reagisce alla situazione difficile e rischiosa in cui si trovano. Ognuno ha le sue virtù, le sue debolezze, le sue ipocrisie, e i suoi lati nascosti. La guerra è mostrata come un lungo logorio dove spesso il nemico neppure si vede, ma del quale però si odono e si ricevono gli spari che provengono da non si sa dove. La nebbia persistente, quindi, ha anche un valore simbolico, di spaesamento e smarrimento. La guerra diviene praticamente una partita a mosca cieca, dove si muore crudelmente uno dopo l'altro. Qualcuno ha parlato di anticomunismo: nonostante a me non darebbe fastidio e nonostante Fuller non fosse appunto comunista, qui non ne ho ravvisato. Si parla solo di nord-coreani, di avanposti, di attacchi, persino di infiltrazioni sovietiche. La politica però non c'entra. Si può vedere, certo, una riflessione su come i singoli componenti del drappello di soldati si comportino in quella situazione limite, e su quanto la guerra sia crudele e spietata. L'amicizia col bambino coreano, e tra cinesi e americani, è forse un messaggio dell'amicizia possibile tra i popoli al di là delle contrapposizioni politiche. Il regista non manca poi di puntare il dito contro il razzismo latente degli americani bianchi contro i loro connazionali neri.
In generale, è un film duro e umano allo stesso tempo. Per chi è interessato alle psicologie umane e alla definizione dei personaggi è una visione appagante; chi cerca invece un classico film di guerra con azione e battaglie lasci perdere.
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