Regia di John Boorman vedi scheda film
Nel 1970 la United Artist affidò al regista irlandese John Boorman (Duello nel Pacifico, Senza un attimo di tregua, Un tranquillo week end di paura) la preparazione di un adattamento cinematografico de Il Signore degli Anelli di J.R.R. Tolkien ma il progetto, troppo ambizioso per l’epoca, non vide mai la luce a causa degli altissimi costi di produzione e per degli affetti speciali non ancora all’altezza di un compito così gravoso.
Il progetto venne quindi convertito in una versione animata ad opera di Ralph Bakshi che risulterà però incompleta (il sequel che doveva concludere l’opera non fu mai realizzato) ma rimane comunque la curiosità di come sarebbe potuto essere una versione di Tolkien senza l’uso della computer grafica, con effetti più artigianali e priva dei più moderni effetti digitali.
Una parziale traccia di questo è però possibile osservarla proprio in un’opera successiva di Boorman nel quale confluirono molte delle idee preparate per tale progetto, pellicola che ripercorreva le gesta di Re Artù e dei cavalieri della Tavola Rotonda.
Sceneggiato insieme a Rospo Pallemberg, prodotto e diretto nel 1981 da John Boorman e girato nei suggestivi paesaggi della sua Irlanda, Excalibur si ispira al romanzo cavalleresco La Morte d’Arthur - Storia di Artù e dei suoi cavalieri, scritto da Thomas Malory tra il 1469 e il 1485 raccogliendo (e riadattando) le diverse leggende su Artù e i suoi cavalieri.
Boorman sceglie di metterne in evidenza l’aspetto più mistico e fantastico rispetto a quello prettamente storico firmando un fantasy d’autore affascinante e spettacolare, impregnato di una valenza estetica e simbolica fondendo insieme le esigenze di intrattenimento con una narrazione più epica trascinando lo spettatore in un medioevo pagano e ancestrale, dominato dalla magia e dalle passioni.
Un’opera anti-realistica che evita qualsiasi pretesa di verosimiglianza o di improbabili corrispondenze storiche per muoversi invece nei canoni della fiaba e della leggenda, avvalendosi di immagini esoteriche ottimamente fotografate, soluzioni registiche di grande effetto arricchite dalla ricercatezza di scenografie e costumi e il tutto sottolineato da una roboante colonna sonora.
Ciò che davvero conta per il regista è la forza evocativa di una leggenda divenuta immortale..
In questo ha un ruolo fondamentale la splendida fotografia di Alex Thompsom che utilizza il colore soprattutto come veicolo di significati quasi ancestrali, il verde della foresta in relazione alla natura e alle antiche credenze pagane (il verde luminescente di Excalibur o il suo sorgere dalle acque sorretta dalla Dama del Lago in quanto non solo arma straordinaria ma simbolo esoterico dell’unione tra l’uomo e il sovrannaturale), l’oro e l’argento delle armatura in rappresentanza della purezza degli ideali (e che si sporca di polvere e fango quando questa viene meno) e del benessere (oppure opulenza?) di Camelot (figlia dell’unione tra uomo e natura) in confronto dei toni freddi e crepuscolari del suo declino nei confronti del potente messaggio monoteistico del cristianesimo.
E se la prima parte del film risulta più tradizionale e invece con la seconda nel quale assistiamo alla decadenza di Artù e del regno di Camelot che Boorman si distacca dai soliti stereotipi di genere per abbracciare toni più visionari, affrontando al contempo un’indagine sulla complessità umana come le responsabilità di governo avverso ai bisogni individuali (Artù), la lotta costante dell’uomo contro i propri vizi e debolezze (Lancillotto), la ciclicità tra vita e morte (il concepimento di Artù mostrata parallelamente alla morte del Duca di Cornovaglia ma anche la nascita di Mordred che sancisce il declino di Artù e di Camelot) e l’eterno conflitto generazionale (Artù/Mordred), il prezzo della conoscenza (Merlino) e/o il suo uso irresponsabile (Morgana) o ancora il ritrovamento del Graal come simbolo della fede (Parsifal) e della rinascita spirituale (ma anche materiale) in un messaggio cristiano (appena?) accennato ma che coinvolge lo stesso Artù in quanto figura (anche) cristologica (la sua “resurrezione” e il suo sacrificio finale per la salvezza di Camelot “barra” Mondo) in un flusso narrativo sempre più sospeso tra il cosciente e l’irrazionale mentre nella colonna sonora riecheggiano le note del Parsifal di Wagner o il coro del Fortuna Imperatrix Mundi dei Carmina Burana di Carl Orff a sottolinearne i momenti più enfatici tra impasti di canti medievali e interventi al sintetizzatore elettronico del musicista sudafricano Trevor Jones e che ben si accorda a un leggenda millenaria come quella di Artù e dei cavalieri della tavola rotonda.
"Perché la maledizione degli uomini è che essi dimenticano."
Ottime le scelte di casting e se gli ottimi Nigel Terry e Nicol Williamson nei panni di Artù e Merlino ad oggi risultano quasi sconosciuti in ruoli più o meno importanti troviamo anche future star come Helen Mirror, Nicholas Clay, Gabriel Byrne, Patrick Stewart, Liam Neeson, Paul Goffrey e Ciaran Hinds.
Voto: 8
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