Regia di Edward Zwick vedi scheda film
Cosa sappiamo noi occidentali e provinciali della storia del Giappone, da sempre considerato la potenza orientale pari a quella occidentale, perciò da annientare? Soltanto che fra le due potenze non s’è mai consumata nessuna guerra ‘fredda’, ma di ‘calde’ tante. A dimostrarlo bastano le tante guerre combattute. Per saperne di più, di quali origini abbia avuto una grande civiltà come quella giapponese, non basta una sola visione (nonostante i 153 minuti del film) dell’ultimo bel lavoro di Edward Zwick, L’ultimo samurai.
“Dicono che l’antico Giappone sia nato da una spada… Io dico che è stato creato dall’onore di una manciata di uomini coraggiosi”. Una specie di prefazione per un film che racconta ed emoziona, che prende le mosse dai samurai, per poi ricavarsi uno spazio tutto suo, inglobando l’antico vizio dell’imperialismo dell’attuale super-potenza occidentale, tutta Mc Donalds e Mr Power, della globalizzazione, fino ad arrivare alla guerra combattuta con le armi potenti, combattuta in nome di una ‘giustizia guerrafondaia’. Nonostante ciò, L’ultimo samurai è un film pacifico, perché è il cammino umano, spirituale e culturale, inteso come recupero di antichi valori, di un uomo verso la sua pace interiore.
Siamo nel 1870 e Nathan Algren (ancora una volta l’eccellente prova di Tom Cruise), un giovane capitano, vive alla deriva e nel rimorso per aver sterminato una tribù di innocenti pellerossa. Nonostante questo s’imbarca per il Giappone con l’obiettivo di addestrare, colonizzare e quindi americanizzare l'esercito del Sol Levante e prepararlo alla guerra contro i rivoluzionari Samurai. Lo scontro sarà un massacro cruento, in cui l’esercito dell'imperatore sarà annientato, il capitano Algren catturato e fatto prigioniero. Sarà duro per lui sopportare il rigido inverno nel villaggio dei Samurai, non solo per le alte vette perennemente innevate, ma soprattutto per lo scontro-incontro tra la sua cultura e quella di un mondo così lontano e a lui (come a noi, ancora oggi, nonostante la globalizzazione) sconosciuto. Algren, però, è protetto dall’ultimo capo spirituale dei Samurai, Katsumoto. Grazie alla sua amicizia, l’ex capitano inizia ad allenarsi all’onore, al coraggio, alla lentezza, al sacrificio, valori tipici dei samurai, per combattere una guerra. La guerra tra due mondi e tra due culture, tra due differenti eserciti, uno armato di armi da fuoco e l’altro di archi e spada. La guerra fra diversi. D’altronde, è sempre con l’intento di annientare una forma di diversità che si combattono le guerre, dalla preistoria ad oggi, in Iraq.
I samurai di Zwick sono spesso messi sullo stesso piano dei pellerossa. Durante la visione del film li si potrebbe accostare agli algerini, agli iracheni, agli afgani…, a “chi non è con me è contro di me”. Si, in questo film c’è lo scontro fra diverse civiltà, intese come forme di cultura: ve lo immaginate in Italia un combattente (per non usare il solito ‘militare’) a cui piacciono i fiori? Rifarebbe la visita di leva tre volte, perché riconosciuto “incline all’indole femminile”, perché ha osato ammettere che a lui piacciono i fiori! Ai samurai di Zwick piacciono i fiori…
Nonostante che buona parte delle scene nel film risultano dei cliché, da far pensare a Balla coi lupi, L’ultimo dei Mohicani, Tora Tora, soprattutto quelle in cui si racconta la cattura e la rieducazione di Algren da parte dei nobili guerrieri, è chiaro come lo sguardo di Edward Zwick voglia portarci al di là di tale limite. D’altronde, il regista non è nuovo a questo tipo di pellicole (Glory). Rimane fuori discussione l'abilità di Zwick nelle scene d'azione (girate in Giappone, Nuova Zelanda e Stati Uniti), nel ritmo della sceneggiatura, nella scelta di non utilizzare alcun artificio elettronico per una minor resa della realtà, nell’aver affidato la colonna sonora del film ad un musicista come Hans Zimmer, ma soprattutto nell’aver utilizzato un casting che ha privilegiato le etnie locali. Lo stesso Tom Cruise ha iniziato un allenamento di quattro mesi prima delle riprese, per acquisire la necessaria pratica nell'uso della spada.
Non sappiamo quali film italiani abbia visto negli ultimi tempi il regista de L’ultimo samurai. Se fra questi gli è capitato qualche titolo di film italiano, sicuramente ci piace immaginare a Cantando dietro i paraventi di Ermanno Olmi, che come Zwick, alla fine, non si pone il problema di come un eroe sia morto. “Io vi dirò come è vissuto”. Per imparare quell’antica saggezza, che appartiene ad altri uomini. In una parte del mondo, per noi occidentali, ancora segreta.
Giancarlo Visitilli
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