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L'ultimo samurai

Regia di Edward Zwick vedi scheda film

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La recensione su L'ultimo samurai

di steno79
6 stelle

Un kolossal dalle ambizioni epiche e dal respiro profondamente hollywoodiano nonostante l’ambientazione giapponese, “L’ultimo samurai” è uno di quei filmoni vecchio stile che ti avvincono e si fanno seguire senza noia per due ore e mezza nonostante una regia un po’ troppo magniloquente e pompieristica e una certa retorica che fa capolino qua e là tra le pieghe di un racconto comunque ben strutturato e coinvolgente. La storia è quella di un militare americano chiamato in Giappone per sbaragliare l’esercito di ribelli comandato dal nobile samurai Katsumoto; tuttavia, quando l’americano verrà fatto prigioniero da quest’ultimo, ci metterà poco a comprendere da quale parte stia l’onore e dove invece la corruzione, e così deciderà di schierarsi contro i loschi figuri che l’avevano assoldato e che nel frattempo hanno soggiogato perfino l’imperatore per far passare una serie di leggi e trattati all’insegna della più disonesta speculazione. Naturalmente, non rivelerò l’esito della battaglia finale, ma mi limiterò ad osservare che gli americani nel film non ci fanno una gran figura, visto che sono in combutta con i traditori e, a parte un paio di personaggi, non si pongono gli scrupoli di lealtà e onore che animano invece la nobile casta dei samurai.
Il film si fa apprezzare soprattutto dove il ritmo dell’azione si fa più teso e incalzante, come nelle scene di battaglia o nella sequenza in cui Cruise insieme a un ristretto manipolo di uomini libera Katsumoto dalla prigionia, mentre, in tutta la parte centrale della “rieducazione” nel villaggio di montagna, il racconto procede con un ritmo un po’ languido e non brilla certo per originalità, visto che ricorda da vicino la “rieducazione” del protagonista di “Balla coi lupi” da parte dei pellerossa. La battaglia finale è grandiosa e spettacolare, piena di furore e di strepiti e certamente degna di quelle viste nel “Gladiatore” o nel “Signore degli anelli”, che ricorrevano abbondantemente al digitale; tuttavia, per rimanere in ambito giapponese, se la si confronta con quelle filmate da Kurosawa in “Kagemusha” o in “Ran” si può facilmente notare la differenza tra lo stile enfatico e troppo esteriore del mestierante Edward Zwick (che tra l’altro fa un uso spropositato e fastidioso delle riprese al rallentatore) e la potenza tragica e visionaria del compianto maestro giapponese. Con tutte queste riserve, non si vuol dire affatto che il film manchi di spessore o sia privo di qualità che possono sedurre il pubblico, ma, più semplicemente, che è girato con uno stile poco innovativo e più volte tendente al compiacimento estetizzante. Un’annotazione di merito va infine a Tom Cruise, che si impegna assai nella parte dell’accigliato capitano Algren, anche se talvolta si fa rubare la scena dal divo giapponese Ken Watanabe. 6

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