Regia di Joseph L. Mankiewicz vedi scheda film
Nel suo genere un film da manuale, una commedia brillante ma corrosiva sul mito del successo ad ogni costo e sull'arrivismo sfrenato che non guarda in faccia a nessuno. E' un film che deve le sue qualità principalmente a una sceneggiatura di ferro e ad un'interpretazione di alto livello del cast. La sceneggiatura, dovuta allo stesso regista Mankiewicz, è molto abile nella costruzione narrativa a flashback, introdotti dalle voci narranti di diversi personaggi, e in dialoghi che mostrano una squisita intelligenza e sono pieni di battute memorabili (una per tutte: la Davis che durante il party esclama: "Allacciate la cintura di sicurezza, c'è aria di burrasca). L'interpretazione della Davis nei panni dell'attrice Margo Channing è sensazionale ed è da annoverare fra le più memorabili nella storia di Hollywood (il ruolo sembra scritto appositamente per lei, ed è reso perfettamente nei registri dell'esuberanza verbale, dell'isteria e di una fragilità legata alla paura dell'invecchiamento); anche la Baxter è bravissima nel rendere la duplicità e la perfidia del personaggio di Eva (e nonostante che il titolo originale reciti "Tutto su Eva", mi sembra che questo personaggio resti alquanto enigmatico anche dopo la fine della visione del film). Fra gli altri attori, eccellente George Sanders nel ruolo del critico velenoso e buone le prove di Celeste Holm, Gary Merrill, Hugh Marlowe e Thelma Ritter (quest'ultima una spanna sopra gli altri menzionati). Se si arriva alla regia di Mankiewicz, però, alcuni critici sostengono che non avrebbe curato abbastanza la componente visiva, privilegiando la direzione degli attori e lo script: ho rivisto appositamente il film per appurare questa componente e dare un mio giudizio in proposito. In effetti, Mankiewicz non è uno di quei registi, come Welles o Hitchcock, la cui attenzione è rivolta principalmente alla costruzione di immagini che risultino memorabili per il loro potere di suggestione visiva, anche se ci sono comunque delle significative eccezioni come l'inquadratura finale di Phoebe che si guarda allo specchio con il premio di Eva, e il cui riflesso viene moltiplicato all'infinito. Tuttavia, anche se non c'è il gusto per la composizione visiva che rapisca l'occhio, la regia è ugualmente assai solida, precisa nel tenere le fila dell'intreccio, nel gestire i ritmi delle diverse sequenze evitando accuratamente il rischio della noia, nell'utilizzo del linguaggio prevalente nel cinema hollywoodiano classico con un apporto personale di raffinata intelligenza che traspare soprattutto dai dialoghi. Le scene memorabili sono diverse, dal party in cui la Davis fa la scenata isterica e in cui appare brevemente anche Marilyn Monroe che interpreta una delle sue tipiche "dumb blondes", alla scena in albergo in cui il critico DeWitt rinfaccia ad Eva la sua pochezza morale e la sua slealtà, e lo sono sia per la straordinaria carica emotiva risvegliata dagli attori, sia per la sapienza della regia. Mi sembra dunque ingeneroso bollare il film come "uncinematic", perché rappresenta davvero il massimo che questo regista poteva darci all'epoca, un compendio delle migliori qualità del suo cinema, un'opera che ha fatto scuola su molti registi successivi che gli hanno reso omaggio, come l'Almodovar di "Tutto su mia madre".
Voto 10/10
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