Regia di Leonardo Pieraccioni vedi scheda film
“Toscanaccio, single, timido, amante delle donne, facile ad innamorarsi, cercherebbe bellona (possibilmente straniera) dal fisico perfetto e dalle doti morali nobili ma nascoste, per amore travagliato, ma con naturale lieto fine”.
Alzi la mano chi mi sa dire a quale dei 10 film di Leonardo Pieraccioni questo annuncio corrisponde. Dopo “I laureati” il cinema dell’ex enfant prodige della comicità italiana è divenuto una minestra riscaldata, fatta di cliché talmente ingombranti da rendere inutile qualsiasi altra trovata gli si affianchi. Poco importa che si arricchisca il tutto con comprimari, o co-protagonisti, di buono o discreto livello (Haber e Papaleo qui, ma Hendel, Ceccherini e compagnia cantata in passato). La frase “visto uno visti tutti” calza a pennello per la cinematografia di Pieraccioni, che da qualche tempo è vittima della sua stessa poetica: sabbie mobili autoreferenziali dalle quali non solo non riesce ad uscire, ma soprattutto dalle quali non strappa più un sorriso se non con qualche pleonastica gag del co-protagonista di turno (qui Anna Maria Barbera ripropone la sua parlata sicula e le movenze che l’hanno resa famosa per qualche tempo sui palcoscenici comici italiani).
Per la cronaca questa recensione è per “Il paradiso all’improvviso”, ma con un paio di modifiche marginali andrebbe bene anche per “Il principe e il pirata”, “Il pesce innamorato”, “Ti amo in tutte le lingue del mondo”, “Una moglie bellissima” e tutti i film che crediamo anche in futuro verranno enucleati sulla stessa falsariga, giustificati da un adeguato ritorno economico ai botteghini.
Mai come nei film di (a, da, in, con, su, per, tra e fra) Leonardo Pieraccioni è falso l’assunto secondo cui è la somma a fare il totale; l’autore avrà pensato pressappoco così: “la storia d’amore ce la metto io (e con questo risolvo anche il capitolo “figa”), la Barbera, o meglio Sconsolata, ha già un suo pubblico, Haber e Papaleo con due faccette e qualche battutaccia mi coprono il lato pecoreccio, ed il film è fatto”. In realtà però allargare a dismisura il potenziale, monotono, cortometraggio dal titolo “lui si innamora di lei, ci sono complicazioni, ma alla fine tutto finisce bene” aggiungendovi orpelli per nulla funzionali, utili solo a strappare qualche risata, non significa fare un film. Ma crediamo che gli italiani, che di recente sembra abbiano addirittura capito che il cinepanettone è una ciofeca, ci metteranno ancora poco a capire che un film di Pieraccioni è come il fratello bello di un film di De Sica, ma che a ben guardare puzza uguale!
Due elementi trash da segnalare, su tutti gli altri: Papaleo con un’inguardabile capigliatura bionda mogano, decisamente rivoltante, e la pratica del parlare direttamente nella macchina da presa (l’anti-cinema per antonomasia), un’azione che non si vedeva dai tempi di “Mary Poppins” (ma lì almeno la pratica era giustificata dal genere di film e soprattutto era scevra della pur minima operazione di paraculismo calcolato).
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