Regia di Bent Hamer vedi scheda film
Una lunga fila di macchine valica il confine tra Svezia e Norvegia, ciascuna rimorchiando una roulotte cui è saldamente legato un trespolo: in ognuna di esse c'è un osservatore dell'HFI, un istituto svedese di ricerca domestica specializzato nella promozione e nello sviluppo di utensili da cucina. Scopo del loro viaggio oltre confine è un nuovo studio inerente le abitudini culinarie degli scapoli norvegesi, le roulotte presso le quali vivranno saranno parcheggiate accanto alle abitazioni dove presteranno servizio, e i trespoli che durante il viaggio le adornavano saranno il loro primo strumento di lavoro: dall'alto di essi, infatti, in una posizione molto simile a quella degli arbitri nel tennis, dovranno controllare i movimenti degli uomini all'interno della loro cucina, annotando su un apposito taccuino ogni singolo spostamento, e riservandosi l'assoluta libertà di entrare od uscire dalla casa a piacimento, accompagnata dal divieto tassativo di dialogare con l'osservato o di farsi coinvolgere in qualsiasi altra attività, per non inficiare l'attendibilità della ricerca.
Da questo spunto a dir poco bizzarro prende forma un'opera piacevole e singolare, tutta giocata sul filo di un'ironia garbata e gentile, in cui la trovata dell'eccentrica indagine di mercato sul rapporto tra il maschio single e la cucina è solo un curioso ed originale pretesto per arrivare a trattare, con assoluta leggiadria, il più delicato tema dei rapporti tra esseri umani. L'attenzione si sofferma su Folke ed Isak, osservatore ed osservato: inizialmente diffidente e scontroso, l'anziano Isak non fa nulla per nascondere il fastidio arrecatogli dalla presenza dell'intruso, mentre Folke, da parte sua, si sente quasi di troppo, oltre che inutile, a fare le pulci a questo norvegese diffidente che in cucina ci stende i panni, si fa il bagno, prepara trappole per topi, taglia capelli, ma mai la sfrutta per quella che dovrebbe essere la destinazione predefinita: cucinare. Nulla sappiamo sul suo passato, né su cosa faccia per vivere, ma una cosa salta all'occhio immediatamente: Isak è un uomo solo, uno che non festeggia il proprio compleanno da quando era ragazzo, che il sentimento più profondo lo nutre per il proprio cavallo malato, e che non ha contatti con nessuno eccetto Grant, un vicino che di tanto in tanto passa da lui per un caffè. Ma in questa tendenza dell'altro all'isolamento Folke rivede sé stesso, lui che in Svezia non ha nessuno ad aspettarlo, se si eccettua una vecchia zia lontana con cui ha un rapporto epistolare: che senso ha, allora, proseguire con questo rispettoso e reciproco distacco?
Terzo film del regista norvegese Bent Hamer (dopo Eggs del 1995 e Water Easy Reach del 1998, inediti in Italia), Kitchen Stories è un distillato di poesia intenso e gradevole ma dal retrogusto amaro, il racconto malinconico e toccante di un incontro di solitudini e della conseguente nascita di un'amicizia, un film piccolo ma prezioso e sinceramente romantico, in grado di trasmettere le emozioni dei piccoli gesti e di conquistare poco a poco, attraverso dialoghi di straniante levità tra personaggi (anche quelli di contorno) tratteggiati con cura, e tramite situazioni che la mano leggera di Hamer riesce a far apparire sempre credibili, quasi familiari, senza che gli aspetti paradossali della vicenda prendano mai il sopravvento assumendo un peso specifico eccessivo. Il passo è lento ma costante, il ritmo del film è lo stesso con cui Isak gestisce la propria vita fatta di nulla, ma non c'è noia, anzi piuttosto un'immedesimazione sempre crescente con i due protagonisti, due uomini soli che, per puro caso, scoprono di aver bisogno uno dell'altro. Da vedere.
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