Regia di Roberto Rossellini vedi scheda film
E’ un percorso di trasformazione interiore, quello di Irene e una presa di coscienza del suo ruolo di donna nella società in cui vive. L’immenso e intollerabile dolore provato per la morte del figlio, l’amicizia con un uomo dalle idee comuniste, il graduale allontanamento dagli agi della vita borghese, portano la donna ad iniziare a guardare il mondo che ha intorno con occhi diversi, non quello chiuso nelle mura domestiche, ma la vita, a lei sconosciuta, che esiste nelle strade, nelle borgate romane del dopoguerra, nelle fabbriche, nei manicomi. Una vita che combatte, quotidianamente, con la miseria, lo sfruttamento, la povertà. A volte con il sorriso e i luminosi sguardi del personaggio interpretato da Giulietta Masina, che sembra anticipare la sua Cabiria, altre con l’indolenza e la rassegnazione di chi sa che non avrà mai una possibilità di cambiamento. Quale sentimento può nascere nel cuore di una donna, che privata del proprio figlio, si ritrovi a camminare tra i miseri e i bisognosi, se non quello di un amore ancora più grande e avvolgente? Lo spirito del cristianesimo, nella sua essenza, è tutto qui. Amare senza riserve. Amare incondizionatamente il prossimo. Amare.
Roberto Rossellini immerge la trasformazione di questa donna in una realtà urbana e sociale che anche sta cambiando, nel suo sguardo, che abbraccia palazzoni e campagne, rovine e strade non ancora asfaltate, c’è già quello che vedranno, a distanza di pochi anni, Fellini in Le notti di Cabiria e Pasolini in Accattone e Mamma Roma, il regista non modifica attraverso la macchina da presa quello che mostra, cerca una neutralità, un passaggio diretto attraverso l’obiettivo, senza filtri o artifici. Sono pochi, nel film, i momenti in cui ci si accorge della sua presenza, ci sono immagini costruite, perché necessarie per esprimere un’idea o un concetto: il figlio di Irene che gioca con la collana della madre intorno al collo, l’inquadratura delle scale dal basso con le persone affacciate, l’uso evidente del montaggio quando Irene va a lavorare in fabbrica, i volti delle donne nel manicomio. In questi momenti Rossellini si mostra perché necessita di condividere le sue idee con noi, per una riflessione che sia prima di tutto intellettuale.
Comunismo e cristianesimo si fondono nel pensiero di Irene (che incarna lo spirito di Simone Weil) ma lei rinuncia a qualsiasi ideologia per seguire il suo istinto di donna, in cui l’odio per sé stessa, il senso di colpa per la morte del figlio e per l’egoismo della sua vita borghese vogliono trasformarsi in amore per gli altri, i poveri e gli afflitti, gli unici che la chiameranno e la saluteranno, come una santa, fuori dal manicomio in cui è stata rinchiusa. Ingrid Bergman si muove algida e allo stesso tempo terrena, il suo corpo mostrato nelle cene, fasciato da eleganti vestiti, diventa sempre più coperto, Rossellini usa il magnifico volto dell’attrice, attraverso il primo piano, per catturare la sua luce interiore, capace di confortare e illuminare la vita degli altri, la donna si avvicina, prima inconsapevolmente e poi con sempre maggiore coscienza verso il paradosso costruito da Rossellini, la libertà dello spirito sarà pagata con la prigionia del corpo, l’immagine del viso di Irene, dietro le sbarre, racchiude l’impossibilità di un amore assoluto, il sacrificio come rivolta porta con sé il peso della croce, la società ha le sue leggi, non quelle del cuore dell’essere umano, ma quelle dell’ordine e del controllo.
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