Regia di Júlio Bressane vedi scheda film
Padre Antonio Vieira è stato un predicatore di notevole effetto nel corso del diciassettesimo secolo (nato nel 1608, morì nel 1697), per la potenza immaginifica dei suoi discorsi. Proprio a causa della sua smisurata facondia non solo si conquistò un buon seguito di ammiratori e seguaci, ma allo stesso modo ebbe la maniera di suscitare invidie e sospetti attorno a sè, con l'accusa principalmente che 'parlasse troppo e parlasse di troppe cose'. In realtà gli argomenti che interessavano al gesuita non erano molto diversi da quelli che sostenevano i discorsi di Gesù: Antonio Vieira predicava un ritorno all'umanità da parte dell'uomo, una valorizzazione dei sentimenti di fratellanza e solidarietà e della pratica dell'ascolto (di forte impatto le sue dichiarazioni sui pesci, creature elette poichè 'hanno due grandi pregi: ascoltano e non parlano'). Bressane si fa documentaristico (la maggior parte dei dialoghi del film sono estratti dai discorsi di Vieira), surreale (gli uomini con grosse teste di pesce: come non rimanerne folgorati?), grottesco (spesso la camera si aggira attorno al protagonista con un fare inquisitorio, con tanto di inquadrature sbilenche e immagini distorte), riesce insomma a conferire uno stile proprio ad una pellicola che in partenza - data la materia trattata - sembrava destinata semplicemente ad una piatta aderenza, ad una lineare (documentaristica, appunto) ricostruzione di eventi e parole. Non che questo stile fosse poi sbagliato: ce lo ha dimostrato una quindicina di anni dopo il Maestro De Oliveira con Parole e utopia, un'altra biografia di Antonio Vieira a partire dai suoi scritti. 7/10.
Gli insegnamenti e la tormentata vita del predicatore Antonio Vieira, portoghese, vissuto per lo più in Brasile lungo l'arco del diciassettesimo secolo.
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