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Mona Lisa Smile

Regia di Mike Newell vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Mona Lisa Smile

di yume
8 stelle

Così sereno, appena velato da una distanza siderale, il sorriso di chi sa, ha capito e guarda

 

 

Mona Lisa Smile non è un film capolavoro, diciamolo subito, ma cos’è poi un capolavoro? Questo è onesto, dice bene quello che vuol dire, buon cast, ottima fotografia e bella musica di Rachel Portman, ma soprattutto si lascia vedere con interesse e condivisione attenta fino alla fine.

Se vi par poco!

Bene, dal 2003, data di uscita, è stato praticamente massacrato da una giuria di soli uomini che si sono accaniti (mai etimo fu così appropriato) abbaiando come cani contro questo rifacimento al femminile de L’attimo fuggente di Weir.

Un capolavoro, quello, che non riesco a vedere mai una seconda volta, chissà perché! E che con questo non c’entra affatto.

Qui si parla di donne, uomini, college e campus statunitensi rigorosamente non ambosessi, i meravigliosi anni ’50, reduci di guerra che s’inventano un passato di glorie per far colpo sulle ragazze, madri e padri come erano esattamente in quegli anni, matrimoni con corna, come sono sempre stati, feste con rock and roll e acrobazie che oggi solo in palestra, vestitini a fiori svolazzanti di tulle e taffétas, il matrimonio come aspirazione massima delle fanciulle in fiore ma, attenzione, le stesse fanciulle possono anche studiare arte, analisi matematica e calcolo statistico, basta che la sera mettano in tavola al maritino che torna stanco una bella cheese cake, non facciano discorsi difficili e a letto non facciano rimpiangere certe signorine meno fortunate ben frequentate dai loro uomini.

 

 

E poi c’è lei, Katherine Watson, una Julia Roberts a sessantaquattro denti, come al solito, ma tirata quanto basta per un ruolo in cui immaginare Katherine Hepburn sarebbe stupendo. Ma troppo tardi, accontentiamoci.

 

La nostra Katherine non ci sta, è una che in quegli anni si faceva davvero fatica a trovare, ma per fortuna esistevano e solo dieci anni dopo hanno fatto l’unica, vera rivoluzione che sia stata mai fatta sulla faccia della Terra.

Quella delle donne.

Negli anni ’50 era davvero dura, e non solo negli States.

 Alla fine, e questo è uno spoiler grande come una casa, chi vuole salti al paragrafo successivo, Katherine se ne va, parte per l’Europa, e non sa cosa l’aspetta.

Almeno in America c’era già il divorzio, qua se non c’era Pannella col cavolo!

Ma lasciamo perdere, su questo finale abbiamo qualche perplessità, l’articolo dell’alunna pentita è convenzionale e gronda buonismo:

Dedico questo mio ultimo articolo, a una donna straordinaria che ci è stata di esempio. E ha convinto tutte noi ha vedere il mondo attraverso nuovi occhi. Quando leggerete questo mio scritto, lei si sarà già imbarcata per l’Europa, dove so che troverà nuove barriere da abbattere e nuove idee con cui rimpiazzarle. Ho sentito dire che ha gettato la spugna per essersene andata, una girovaga senza meta. Ma non tutti quelli che vagano sono senza meta, soprattutto non coloro che cercano la verità, oltre la tradizione, oltre la definizione, oltre l'apparenza. Non la dimenticherò mai.

 

Certi che l’abbiano dimenticata, e almeno fino al ’68 le cose siano andate avanti così, del film ci piace soprattutto il titolo, con una “n” in più magari, ma siamo in America e Nat King Cole imperversava.

Dietro le storie e storielle che s’intrecciano, tutte abbastanza frizzanti, significative, realistiche, ci sono tracce di un’epoca che chi ha vissuto, anche se a ritroso, anche se a distanza, ritrova.

 

Il regista ha spalmato sulla tela una base di tempera uniforme, poi l’ha riempita di colori ad olio, impasti materici, un’action painting che forma un groviglio affascinante, ipnotico, come sempre quando di un decennio vediamo tratteggiare a ritroso i caratteri e diciamo “sì, era così, è vero, oddio, era proprio così! ”.

Questo vuol dire fare un film onesto, da far vedere alle nuove generazioni che sempre credono che il mondo cominci da loro.

Katherine, trentenne attempata (così allora erano considerate le trentenni non ancora sposate) laureata in storia dell’arte nello Stato di Oakland, ha avuto l’incarico di docente di Storia dell’Arte in Massachussets, in college privato femminile di arti liberali, frequentato da signorine di ottima famiglia.

 Come si possano svolgere le lezioni in classe, come parlino di lei fuori, come venga stilato per lei un contratto capestro dal consiglio d’istituto per l’anno successivo, come sia grigia e impettita la Preside, come gli americani cominciassero da allora a mangiare torte improponibili che li hanno fatti diventare il popolo più grasso e stupido della Terra, è facile immaginarlo.

Oggi nulla più ignoriamo di usi e costumi, sappiamo di condizionamenti e violenze di genere, ma il film, ed è il suo pregio migliore, riesce a farci rivivere l’asfissia di quegli anni, a farci chiedere come fosse possibile vivere così e come sarebbe bello avere una macchina del tempo su cui imbarcarsi e vivere altre ere geologiche, fuggendo lontano.

Ma finalmente, sollevandosi al di sopra delle miserie umane, arriva il nocciolo vero della storia, ed è un sorriso.

Quello di Monna Lisa.

Così sereno, appena velato da una distanza siderale, il sorriso di chi sa, ha capito e guarda. Cosa?

Questo piccolo atomo opaco che sta precipitando verso il nulla.

locandina

Identità Monna Lisa (2018): locandina

 

 

www.paoladigiuseppe.it

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