Regia di Mike Newell vedi scheda film
“Chi bussa alla porta della sapienza?”. Così ci s’immerge nell’atmosfera dell’autunno 1953, nel New England. Katherine Watson è un’insegnante di storia dell’arte a cui è affidato l’arduo compito dell’insegnante-missionaria: innanzitutto essere idealista e sfidare le rigide regole dell’austero, ma prestigioso College femminile di Wellesley, per fare delle sue allieve non solo delle brave mogli e delle valenti madri. A coadiuvare tale insegnamento sarà utile alla giovane insegnante stravolgere i programmi didattici e quelli della storia dell’arte, che più che dell’arte si fa “storia della vita”, in quanto Katherine riuscirà ad ampliare gli orizzonti delle studentesse che, a loro volta, l’aiuteranno a conoscere meglio se stessa. Come tutti gli insegnanti soffrono di claustrofobia, per diverse cause (quella tutta italiana è sicuramente la Moratti), anche Katherine Watson si sente intrappolata in un ambiente chiuso e conformista, nel quale le allieve sono rigorosamente obbedienti alla tradizione, piuttosto che alla ragione indipendente e critica (traguardo tanto atteso dalla scuola pubblica=privata italiana).
La critica ha subito osannato la Roberts come l’attrice che tenta la carta emotiva dell’Attimo fuggente. Ma come è possibile controbilanciare Peter Weir con Mike Newell, il cui Mona Lisa Smile non entra nella carne viva, perché è chiaramente un film ‘di testa, più che di pancia’: tutto diventa professionale, calcolato e levigato, evitando di sviscerare la trama, attraverso manierismi e convenzioni benpensanti. E in tale contesto la Roberts dà il massimo di sé, vestendosi ancora una volta dell’abito dell’eroina, stile anni Cinquanta, il cui sorriso, proprio come quello della Mona Lisa, risulta statico: tale e quale quando batte la strada, quando è mamma contenta, addirittura anche durante un lutto. Non “abbandona mai il ruolo per il quale esiste”, come lei stessa dice alle sue allieve. Emoziona fino alle lacrime, tanto che la gente afferma di andare a cinema solo se c’è la Roberts, “perché si piange”. Sul modello di Carramba e Maria De Filippi, insomma. Sarebbe utile valutare bene, però, il motivo del pianto… La prova migliore della Roberts, a nostro avviso, rimane quella di Erin Brockovich, laddove appariva veramente il volto dal sorriso sarcastico e completamente diverso, rispetto a quello gratuito e smagliante di tutti gli altri suoi film.
Tuttavia bisogna dare atto al regista di Donnie Brasco soprattutto per l’acuta ricerca di un preciso periodo storico, reso tale anche dalle scenografie e dagli abiti bellissimi, stile old fashion. Periodo che ha rappresentato un passaggio duro, ma fondamentale, per un paese come gli Stati Uniti, che da poco usciva dall’incubo bellico (nel quale comunque, con questo passo, ci si ritrova e ritroverà!) ed esorcizzava i suoi nemici-demoni di allora, sul modello Hussein e Laden. Mike Newell, attraverso la storia tutta al femminile (le figure maschili del film fanno veramente una pessima figura!), tenta di dare voce all’emancipazione femminile, condannando il matrimonio e la vita domestica della housewife, che nell’America dei primi anni ’50, era costretta a prendere le veci del marito in guerra, ma senza un adeguato approfondimento. Solo accenni. Tanto che, alla fine, la morale sembra essere quella di fregarsene delle convenzioni e degli stereotipi, ma comunque ognuno fa ciò che gli sembra più opportuno per sé, trovandosi in situazioni un po’ troppo scontate e prevedibili, facendo scivolare il film in un eccessivo ricorso a cliches, evitando il confronto vero con l’emancipazione femminile attuale, che l’America stenta a voler mostrare. Sarà questo il motivo per cui il regista ha scelto le attrici emergenti tra cui spiccano Kirsten Dunst e Maggie Gyllenhaal?
Forse, per comprendere qual era il giusto senso che Newell voleva dare al suo film, converrebbe aspettare i titoli di coda (ammesso che siate fortunati a trovare il proiezionista giusto!): tutta una serie di reminiscenze di volti femminili, belli e significativi. Di quelli che hanno segnato una tappa importante nella storia dell’emancipazione femminile, che pari al grande Jakson Pollock, non è richiesto amare e apprezzare. Ma almeno prenderlo in considerazione.
Giancarlo Visitilli
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