Regia di Joseph Losey vedi scheda film
Quando un drammaturgo come Harold Pinter ed un regista consapevole, motivato ideologicamente e talentuoso come Joseph Losey si incontrano non può che scaturirne un’opera preziosa, com’è infatti a tutti gli effetti “The servant”.
Siamo decisamente avanti rispetto ai tempi della sua realizzazione ed il fatto che il regista abbia impiegato circa sette anni, ci provava dal 1956, per realizzarla fa capire le difficoltà che ha dovuto affrontare, ma il risultato lo ripagò ampiamente dello sforzo intrapreso.
Il benestante Tony (James Fox) trova in Barrett (Dirk Bogarde) il maggiordomo perfetto per la sua nuova casa, ma col tempo qualcosa comincia ad incrinarsi.
Dapprima Barrett coccia con la fidanzata (Wendy Craig) di Tony, poi quando riesce a far ospitare nell’abitazione sua sorella Vera (Sarah Miles), la situazione si deteriora ulteriormente.
Tra i due uomini i rapporti di forza cambieranno completamente.
Opera ricchissima nella quale uno script denso, ed in trasformazione, va di pari passo con una realizzazione tecnica impressionante ed una recitazione altrettanto pregevole con quindi ogni qualità artistica sviluppata in libertà nell’ambito delle proprie competenze.
Harold Pinter scrive utlizzando i capisaldi del suo stile (quasi un solo ambiente e una grande importanza attribuita all’utilizzo delle parole che in questo modo lasciano il segno), Joseph Losey si concentra sulla forma dando agli attori ampio spazio di interpretazione (come ha detto lui stesso più volte, non gli piaceva dire cosa fare sul set, ma semplicemente cosa evitare) e se Dirk Bogarde plasma un personaggio indelebile anche i meno navigati compagni di set, James Fox e Sarah Miles avevano pochissima esperienza (e facevano coppia fissa nella vita reale), non sfigurano affatto, anzi.
Da tutto ciò lo sviluppo trova vigore, le posizioni iniziali di Tony (potere) e Barrett (servo) mutano lentamente, ma inesorabilmente, deragliando dapprima col subentro di Vera, ragazza formato “Lolita” solo con qualche anno in più, per poi rigenerarsi, con una ripartenza sorprendente (avrebbe potuto anche finire tutto lì), sotto mentite spoglie, insospettabili all’inizio, con parrecchie sottigliezze che rendono interpretabili tanti atteggiamenti a partire dal ciò che ogni personaggio voglia realmente ottenere (e non tutto ha bisogno di una spiegazione chiusa).
E Joseph Losey, uomo di sinistra costretto a lasciare per questo motivo gli Stati Uniti all’epoca del maccartismo, utilizza Barrett come grimaldello per devastare la vita di un privilegiato senza qualità, con una sorta di scambio di potere, uno sguardo “contro” che trova nelle definizioni sessuali altri elementi per insinuarsi sotto pelle (anche in questo si possono vedere cose diverse …).
Ad avvalorare ancora di più l’opera, ci pensa la regia in senso tecnico, un vero e proprio fiore all’occhiello (scene molto lunghe che sembrano in apparenza montate per come sono elaborate), che imprime dettagli nella memoria (come lo specchio), con grande attenzione ai rumori (tintinnio del lavandino, rintocco di un orologio, squillo del telefono) ed agli elementi della casa, come le scale che diventano una sorta di confine insidioso da oltrepassare.
E se nella definizione dei caratteri è decisivo il contributo di Harold Pinter, per il quale l’uomo è sostanzialmente stupido e/o crudele, lo è altrettanto il contributo recitativo; Dirk Bogarde, che per anni rifutò il copione, che entra nei panni di Barrett come se fosse un costume di scena sottolineando magnificamente il passaggio da uomo rassicurante ad insinuante e poi debordante, James Fox è meno appariscente, ma concreto, mentre Sarah Miles è quel pezzo del puzzle che, grazie ai modi, al sorriso ed allo sguardo provocante, sottointende rapporti scostumati (semplicemente perfetta la scena in cucina col primo impatto fisico con Tony).
Una grande pellicola, amata, e a ben donde, dallo stesso Joseph Losey, autore oggi poco menzionato, tanto che pochi suoi film vengono tramessi in televisione e pochi altri sono disponibili in dvd (ma questo svetta in un bluray che rende giustizia alla fotografia eccelsa di Dougie Slocombe e che vanta una serie di interviste imperdibili per chi l'ha amata), che nonostante le tematiche affrontate non ebbe ingerenze produttive ed anche questo ha permesso all’autore di procedere senza ostacoli, con un’autonomia rara che ha portato i suoi frutti.
Di gran pregio.
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