Regia di Russell Rouse vedi scheda film
Esperimento riuscitissimo di descrivere i pregi e i limiti del cinema muto in ottanta minuti di film. La ricerca della espressività attoriale, la trasmissione delle emozioni senza parole, nessuna retorica ad inquinare i fatti, recitare con tutto il corpo senza nessuna possibilità di mentire verso sè stessi o verso il pubblico. Dove servivano le parole, sotto forma di didascalie, il cinema muto mostrava il suo principale limite tecnico, quello di dovere ricorrere alla parola scritta in assenza di quella parlata.
In un film come questo cosa avrebbero aggiunto le parole ai tormenti del protagonista, al suo apettare ansioso gli squilli del telefono come segnale per agire o per non agire. Quando un uomo si aggira nervoso e frenetico in una stanza squallida aspettando ordini o guarda una donna in quel modo non c'è bisogno di altro per descrivere le sue emozioni. La disperazione di un uomo che ne uccide un altro non può essere descritta a parole ti lascia dentro qualcosa di tragicamente definitivo, ti cambia la vita. Dentro l'esperimento ci sono gli anni cinquanta e il maccarthismo, la guerra fredda combattuta anche a colpi di spie. Il regista rispecchia quel clima più come storia personale del dottore, il suo attraversare emotivamente e fisicamente il ruolo di spia. Percorso da traditore che sembra obbligato, costretto ad eseguire gli ordini e a non farsi arrestare. Il finale ci ricorda dove siamo, le insegne luminose della civiltà occidentale non possono essere abbandonate per un paese straniero e sconosciuto, presagio di altri crimini da commettere. Un film dove conta più la forma della sostanza, da guardare più come percorso esistenziale del traditore-pentito che come lettura sociologica di un clima e di un ambiente particolari con un finale forse liberatorio ma sicuramente obbligato
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta