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Speed Cross

Regia di Stelvio Massi vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Speed Cross

di FABIO1971
4 stelle

Speed Cross, conosciuto anche col titolo di C'era una volta la legge, giunge, nella filmografia del suo regista Stelvio Massi quando anche gli ultimi fuochi dei nostrani "poliziotteschi" avevano ormai consumato ogni fiammella di interesse (e di successo): per rinverdirne gli umori, Massi, con la complicità degli sceneggiatori Steno, Lucio De Caro e Sergio Partou, accosta, perciò, ad una canonica vicenda poliziesca (un poliziotto-motociclista infiltrato, Fabio Testi, che, insieme al suo amico corridore, Vittorio Mezzogiorno, indaga sugli intrallazzi della malavita organizzata che gestisce le scommesse nel mondo delle gare di motocross) la spettacolarità mozzafiato dell'esibizione sportiva, affidandosi per le sequenze acrobatiche alle riprese del leggendario coordinatore degli stuntman Rémy Julienne, ovvero il migliore su piazza (oltre un migliaio di film in carriera, spesso anche per una sola sequenza e raramente accreditato nei titoli). Il risultato è un action movie tricolore decisamente fuori dagli schemi (o, meglio, talmente "dentro" gli schemi da apparire quasi atipico, a partire già dall'inconsueta ambientazione tedesca), appiattito, però, banalmente da uno script che accumula luoghi comuni e marciume dozzinale raschiato dai fondi del barile del nostrano cinema d'azione più derivativo e di bassa lega: quindi psicologie tagliate con l'accetta, locations spartane, dialoghi rivoltanti, humour greve e stantio, scazzottate infinite, ovvero tutti gli stereotipi di un cinema seriale e ruspante che, tra trash deprimente e folgoranti intuizioni, aveva sbancato i botteghini varcando anche i confini nazionali per la gioia di cinefili in cerca di nuove emozioni e futuri registi, ma che ormai aveva esaurito ogni spinta propulsiva ed originale, riciclandosi nel plagio più squallido o, quando andava di lusso, nella piatta reiterazione di forme e stili già abbondantemente saccheggiati. Massi, addirittura, appare insolitamente ispirato e su di giri: la macchina da presa, infatti, ha una mobilità inconsueta, parla una lingua esemplare e sontuosa nei suoi svolazzi stilistici, come se Massi avesse girato il film in piedi sui pattini e con qualche litro di grappa in corpo, tanto da dispensare una vera e propria orgia di panoramiche e carrelli, un uso selvaggio dello zoom e dei ralenti, con la moviola in sala di montaggio ad alternare indifferentemente fioretto e mannaia per vomitare ritmo grammaticamente corretto. Ma l'esuberanza della regia (a cui, naturalmente, va aggiunta la straordinaria efficacia delle sequenze acrobatiche) non riesce mai a trasformarsi, per lo spettatore, in vero e proprio coinvolgimento, scontrandosi brutalmente con la pochezza della sceneggiatura, che mortifica e stravolge anche le rare intuizioni felici (la morte di Daniela Poggi, la coppia di affiatati protagonisti, con un Vittorio Mezzogiorno addirittura incontenibile nel ruolo del macchiettistico e verace motociclista partenopeo), con i dialoghi penosi, con, in definitiva, la mediocrità artigianale dello spettacolo allestito per palati tutt'altro che esigenti. Genererà anche un sequel, quello Speed Driver in cui il motociclista Fabio Testi si riciclerà come pilota di Formula Uno.

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