Regia di Corey Yuen vedi scheda film
Esempio cristallino di colonizzazione cinematografica, decadenza totale di una maniera di fare cinema, di un immaginario, perfino di un’idea di mondo. Di riflesso, anche di un mercato, di un’industria, di un artigianato. So Close sembra un filmaccio da sabato sera per Italia 1: manca solo Michael Dudikoff. E pensare che dietro la macchina da presa c’è Corey Yuen, ottimo e durissimo coreografo d’azione, e regista in passato notevole, al quale qui non importa niente; che a firmare la sceneggiatura c’è Jeff Lau (Chinese Odyssey 2002); che davanti all’obiettivo ci sono icone hongkonghesi come Karen Mok e Shu Qi, in puro stato di pilota automatico. La storia delle due killer e della poliziotta che dà loro la caccia non interessa a nessuno, l’action è di plastica e indolore, la regia piattissima e inamidata. Le invenzioni si limitano a un tacco con chiodo incorporato che fa aggrappare al soffitto per sparare a testa in giù. Ci vuole ben altro per ricordare anche le più ruvide pellicole di Hong Kong, tipo la serie di In the Line of Duty. Non c’è sentimento (le parentesi intimistiche, con la musica à la Fausto Papetti, mettono ribrezzo), non c’è partecipazione, né da una parte né dall’altra dello schermo.
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