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La sparatoria

Regia di Monte Hellman vedi scheda film

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La recensione su La sparatoria

di scapigliato
8 stelle

Un manifesto programmatico sulla propria geniale autorialità. Nel 1962 di “Sfida sull’Alta Sierra” di Peckinpah il western comincia a ragionare sulla sua possibilità di raccontare la decadenza del mito, l’esistenzialismo umano, e diventa un western crepuscolare, autunnale, decadente. Nel 1964 di “Per Un Pugno di Dollari”, Sergio Leone ipotizza e poi prosegue in compagnia di Corbucci e Questi la sovversione del genere, del suo linguaggio, del suo immaginario, dei suoi valori fondativi. Con il ’66 Monte Hellman con “La Sparatoria” e subito dopo con “Le Colline Blu” dà il via all’oasi felice dell’anti-western. Hellman trascende il genere, va oltre ai suoi schemi e ai suoi codici. Lunghi tempi morti, inquadrature anti-accademiche, commento musicale ridotto all’osso, uno scenario desolato come il palco di un teatro, solo quattro personaggi buttati nel deserto più aspro a confrontarsi tra loro. Nel film c’è poca azione fisica. Ce n’è molta ma interna ai personaggi. Un film quindi cerebrale che usa il western per fascinazione. Non c’è morale, non c’è perché. E’ solo un piacere visivo ed intellettuale, giocato sui piani dell’esistenzialismo, dell’enigmatica ricerca dell’identità. Un viaggio estraniante nel deserto alienante delle nostre vite, reso tale da una regia attenta al valore mitico del paesaggio in chiara relazione con i suoi personaggi e la propria valenza mitica e archetipale. Una faticosa odissea in un non-luogo che in realtà è un luogo dell’anima, caro a chiunque sa vedere nel western il significante più adatto per la rappresentazione delle inquietudini, come delle gioie, dell’uomo moderno.
Nella sparatoria finale, che dà il titolo al film, Hellman riprende il ralenti tanto caro al carissimo amico Peckinpah, e nel culmine di una narrazione assolutamente irreale scatena il proprio ego autoriale con la mortifera immagine del doppio. Un doppio che tutto chiude. Un circolo che giunge al termine. Svuotato di senso, il western di Monte Hellman apre le porte su una riflessione profonda sia sui codici e l’immaginario mitico del genere, sia sulla sua funzione di fondamentale forma di rappresentazione dell’universo esistenziale dell’uomo. Ma sappiamo come Hellman, Peckinpah, Leone e gli Spaghetti-Western si siano mutuati a vicenda nell’elevazione mitica del genere cinematografico più bello del mondo, che prima era esclusivamente la bandiera autocelebrativa di una nazione.

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