Regia di Michael Haneke vedi scheda film
“Avevi mai visto un morto? Un morto vero, voglio dire.”
“No. E tu?”
“No, per questo te l’ho chiesto.”
“Era solo un maiale. Alla TV ho visto i trucchi che usano nei film d’azione. È solo ketchup e plastica, però sembra vero.”
Benny (Arno Frisch) è un adolescente austriaco estremamente appassionato di riprese e video amatoriali. In particolar modo, sembra essersi fissato su un Super8 da lui stesso filmato durante un’escursione familiare in campagna; il video ritrae una consueta pratica precedente la macellazione dei suini, ovvero lo stordimento del maiale con l’apposita pistola a proiettile captivo, di evidente fattura grezza.
Il ragazzo, sveglio e dal carattere dominante, un giorno conduce nella sua camera una ragazzina sconosciuta (Ingrid Stassner), che stazionava immobile davanti la vetrina del videonoleggio di cui Benny è un habitué. Dopo averle mostrato tutte le sue telecamere e il video del maiale, Benny la esorta a sparargli con quella stessa arma. Vistosi rifiutare, Benny spara alla ragazza mentre una telecamera riprende tutto il suo maldestro tentativo, che si conclude fra urla, gemiti ed un’esecuzione completata off-screen. Benny si denuda, pulisce, telefona ad un compagno di scuola e nasconde il cadavere.
Ai suoi genitori, perlopiù terribilmente assenti, il ragazzo mostra direttamente il filmato, con freddezza e distacco, forse per incapacità di fornire una spiegazione del suo gesto. Suo padre (Ulrich Mühe), turbato ma anche determinato a mantenere l’inattaccabilità della sua reputazione borghese, fa un bilancio dell’accaduto e decide di coprire tutto: Benny e sua madre (Angela Winkler) andranno per qualche tempo in vacanza in Egitto e nel frattempo si occuperà lui della questione, lontano da occhi indiscreti e da telecamere…
“Quando la polizia lo ha interrogato, lui ha risposto così. E questa cosa mi ha scioccato! Per i successivi due o tre anni ho collezionato articoli di questo tipo e questa frase ritornava di nuovo. «Volevo sapere com’è.» Per me queste sono parole di qualcuno che non è in contatto con la realtà. Quando apprendi la vita attraverso i media, la realtà attraverso i media, hai la sensazione di perdere qualcosa. Mi manca la sensazione della realtà. Se vedo solo un film, solo immagini – anche immagini della realtà, un documentario – sono sempre al di fuori. E volevo essere… Per una volta volevo sapere com’è in realtà!” [Michael Haneke]
Michael Haneke comincia a farsi notare già al suo secondo lungometraggio, in concorso anch’esso – come l’esordio “Der siebente Kontinent” – alla rassegna Quinzaine des Réalisateurs, selezione parallela al Festival di Cannes. Proprio la Francia sarà poi la sua patria cinematografica adottiva, anche se non prima di qualche anno, in seguito al successo e al dibattito scaturiti dal devastante “Funny Games”.
Col senno di poi, risulta piuttosto facile individuare in “Benny’s Video” una sorta di film precursore del più celebre dei lavori di Haneke, non fosse altro per la comune presenza di uno straordinario Arno Frisch e di Ulrich Mühe fra i protagonisti. Il regista austriaco comincia fin da qui a concentrare il suo pensiero sul rapporto che si instaura fra l’osservatore e i media, nonché fra la violenza e la sua rappresentazione formale. Il protagonista di “Benny’s Video” è un adolescente di ottima famiglia borghese ossessionato dalle riprese video, tanto da tenere le finestre chiuse e oscurate dalle tende e da riprendere l’esterno con una delle molte telecamere a sua disposizione; Benny conosce la realtà non attraverso esperienze sensoriali, bensì attraverso un obiettivo e un televisore. E se il tasto rewind di “Funny Games” rappresenta una gigantesca e geniale beffa, qua è un mezzo per concentrare l’attenzione all’infinito su un dettaglio (il momento esatto della morte del maiale) o per rivedere, mostrare, svuotare il filmato dell’omicidio. La dinamica della riproduzione di quel momento dimostra come l’immagine abbia un effetto rassicurante rispetto alla realtà: la morte della ragazzina avviene fuori campo, non immediata, malamente pianificata.
Questo non è che il modo con cui Haneke manifesta il suo rifiuto per il cinema che fa della violenza una forma d’intrattenimento, ponendo l’accento sulla natura manipolatoria del mezzo cinematografico. E lo fa mantenendo una certa distanza, con colori freddi, musiche esclusivamente diegetiche e tempi dilatati, in modo tale da fornire una rappresentazione più gelida rispetto al mondo reale. “Benny’s Video” ha comunque qualche pecca: si dilunga fin troppo, ad esempio, con la parte ambientata in Egitto; molte di queste scene potrebbero indifferentemente rappresentare un sogno o comunque una distorsione del reale, essendo principalmente costituite da riprese amatoriali di Benny. In questo modo Haneke sottolinea come non vi sia alcuna forma di elaborazione dell’accaduto e della colpa da parte di chi ha prodotto un orrore simile e di chi lo ha coperto, certificando la distruzione della famiglia di fronte alla colpa. Il finale è sorprendente, aperto all’interpretazione delle possibili sfumature, ma è anche una naturale conseguenza di quanto fin lì esposto.
Il cinema hanekiano mette lo spettatore di fronte a continue domande e gli evita risposte prestabilite, in qualche modo responsabilizzandolo e fornendogli strumenti per meditare su quanto vede, sul suo ruolo di osservatore, sulla provocazione insita nell’opera. A patto di poterla sostenere emotivamente, ça va sans dire.
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