Regia di Chris Marker vedi scheda film
Chris Marker (pseudonimo di Christian Francois Bouche Villeneuve con la cediglia sotto la "c" di Francois) è una figura che ha fatto dell'enigmaticità un'arte: solitario e impossibile da etichettare, ha sempre mescolato nelle sue opere generi e temi diversi, influenzando varie generazioni di cineasti.
Ha attirato fin dagli esordi l'attenzione su di sè grazie all'eleganza e alla forma rigorosa della sua "scrittura" (tutta la prima fase della sua carriera) per poi virare prima sul genere della fantascienza (in questo campo è considerato giustamente un anticipatore e un "maestro") e poi verso l'opera di impegno civile (il cosiddetto momento del cinéma vérité, concentrato soprattutto sull'analisi dei mutamenti politici della società).
In questo straordinario percorso "esplorativo", "La Jétée", meraviglioso e sintetico affresco post-atomico firmato nel 1963, si staglia su tutte le altre cose da lui dirette come una delle perle sublimi (forse il "capolavoro" assoluto della sua arte).
Si narra nel racconto, di una Parigi distrutta dalla Terza guerra mondiale, e di un uomo scelto per compiere alcuni viaggi nel tempo nel tentativo di modificare la storia.
La struttura del film è semplicissima: un assemblaggio di foto fisse collegate tra di loro attraverso l'utilizzo (in questo caso davvero creativo) delle dissolvenze incrociate, ma il risultato anche emozionale è di straordinaria rilevanza.
Una riflessione amara sulla vita e sulla morte, sulla memoria e sull'ossessione insomma, a metà strada fra la filosofia e la fantascienza (meglio di così non saprei come incorniciarla dentro un genere o una corrente di pensiero).
Opera che definirei sperimentale nella forma e dai toni quasi lirici nella narrazione, ha ispirato molti anni dopo "L'esercito delle dodici scimmie" di Terry Gilliam.
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