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In the Cut

Regia di Jane Campion vedi scheda film

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La recensione su In the Cut

di Rosebud77
6 stelle

Pompato come film-shock con annesso cambio d’immagine di Meg Ryan, In the Cut, a dispetto del titolo, passa indenne ai nostri “tagli” dopo la pesante condanna subita negli States - aggiungerei - senza motivo. Non perché il film di Jane Campion non abbia un suo impatto violento od emotivo, ma perché: 1 - l’attrice la rivedremo a breve in una ennesima commedia (Against the Ropes) nei panni di una allenatrice di pugili di colore; 2 - a veder bene lo scandalo erotico strombazzato è morboso come un ferro a vapore.
Dopo quell’opera transeunte e new-age che era Holy Smoke, la neo-zelandese regista di Lezioni di Piano e Ritratto di signora si cimenta con un romanzo hard-thriller di Susanna Moore, Dentro, e pur rispettandone chiavi di letture a lei congeniali (il potere psichico e sessuale della donna sull’uomo, il sesso come limite di fiducia da travalicare), azzecca meno l’impostazione del film. La Ryan - che a tratti sembra il clone della Kidman, inizialmente scelta come interprete - smette i panni dell’eterna Sally fidanzata con Harry e si cala in un ruolo impervio, quello di una insegnante ferita da un oscuro passato e attratta dal fascino del proibito. Spia una fellatio nella penombra di un club-bar, si masturba con sogni osceni, si infoia leggendo scritte che amanti o viandanti lasciano come graffiti sulla metro o sui muri di una New York sudicia e malandata e si esibisce in pose plastiche con broncio lacrimevole. Il tutto mentre un misterioso serial-killer fa letteralmente a pezzi giovani donne (tra cui la sorellastra Jennifer Jason Leigh, sempre intensa), il detective inquirente (Mark Ruffalo, già in Conta su di me) instaura una sordida relazione con la protagonista e gli indizi sembrano incolpare più lui che l’ex-amante pazzoide di lei (Kevin Bacon, quasi un’apparizione).
Speriamo che la Campion abbia inteso l’intreccio giallo come un giochetto, perché le pedine che muove le anticiperebbe un dodicenne al telefono. C’è comunque una preziosità d’immagini, qualcosa di sotterraneo, di lascivo, di “spiato” che permette al film di non cadere - come invece fa la pattinatrice sul ghiaccio nel sogno virato in seppia - sui pericoli che si corrono arrischiandosi a raccontare l’insoddisfazione femminile tanto cara a Virginia Woolf, notoria scrittrice “del dolore” citata di sguincio all’inizio e nell’affrettato finale al faro. Eppure In the Cut, ponendosi doverosamente al di fuori dalle maledettistiche maglie femministe, si colloca ahinoi poco al di sopra di un innocuo sguardo d’autore sui pericoli del desiderio e la rimozione dei traumi per affrontarlo.
Francesco de Belvis

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